Last Updated on Novembre 19, 2019
Di: Avv. Wanda Falco
Il quadro normativo di riferimento
L’articolo 2105 c.c. impone ai lavoratori di rispettare l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro, obbligo che consta di due vincoli:
- non concorrenza, che vieta al “prestatore di trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore”;
- riservatezza aziendale, che vieta di “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa e farne uso in modo da poter recare a essa pregiudizio”.
Oltre che da tale disposizione del codice civile, la tutela dei segreti aziendali è disciplinata anche dal Codice della proprietà industriale (D.lgs. 30/2005) recentemente modificato dal D.lgs. 63/2018. In particolare gli artt. 98 e 99 del c.p.i. tutelano il legittimo detentore dei segreti commerciali intesi come tutte le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali che siano segrete, che abbiano valore economico in quanto segrete e che siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Accanto alla tutela civilistica si segnala la tutela prevista dal codice penale che vieta la divulgazione del know how aziendale. In particolare, l’art. 622 (rivelazione di segreto professionale) punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto”. L’art. 623 c.p. (rivelazione di segreti scientifici o commerciali) punisce con la reclusione fino a due anni “chiunque venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto”. La stessa pena si applica a chi riveli o impieghi a proprio o altrui profitto segreti commerciali acquisiti in modo abusivo.
Viste le norme di riferimento in materia di tutela dei segreti aziendali, nei paragrafi che seguono esamineremo la portata dell’obbligo di riservatezza aziendale e i mezzi che le aziende hanno a disposizione contro l’impossessamento e la divulgazione di segreti aziendali, con particolare attenzione all’accordo di riservatezza (NDA, Non Disclosure Agreement).
Il contenuto dell’obbligo di riservatezza aziendale
L’obbligo di riservatezza a carico del dipendente è interpretato dalla giurisprudenza in modo ampio: sebbene l’art. 2105 c.c. vieti espressamente solo di “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa” o di “farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”, la giurisprudenza ha inteso tale obbligo in senso più ampio rispetto a quello risultante dal tenore letterale dell’art. 2105 c.c. Il contenuto di tale norma va integrato con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono al lavoratore di improntare la sua condotta al rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede (Cass. 3739/2017 e Cass. 144/2015). Ne discende che il prestatore deve astenersi dal compiere non solo gli atti espressamente vietati, ma anche quelli che, per la loro natura e per le possibili conseguenze, risultano in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella compagine aziendale, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente produttiva di danno.
Il lavoratore, dunque, risponde nei confronti del datore per il solo fatto di essersi impossessato dei dati a prescindere dall’avvenuta divulgazione a terzi: egli è responsabile della violazione anche nel caso in cui la sua condotta, non attualmente produttiva di danno, sia dotata di potenziale lesività.
A tal proposito ha avuto notevole risonanza una pronuncia della Cassazione relativamente recente che si è occupata del caso di un lavoratore licenziato per giusta causa per aver duplicato e scaricato – senza divulgarli – su una penna USB un notevole quantitativo di dati aziendali ai quali aveva avuto accesso in ragione della sua qualifica (Cass. 25147/2017). I giudici in tale ipotesi hanno evidenziato che, ai fini della legittimità del licenziamento per violazione dell’art. 2105 c.c., è irrilevante il danno arrecato al datore essendo sufficiente che tale condotta sia per sua natura idonea a danneggiare l’azienda. Dunque, anche il mero trafugamento di dati aziendali, non seguito dalla loro divulgazione, si pone in contrasto con l’obbligo di fedeltà. Inoltre, la Cassazione ha precisato che la tutela dei dati non è estesa solo ai “segreti aziendali” in senso stretto, ma anche a dati come liste clienti, liste fornitori, metodi di organizzazione del lavoro che sono accessibili a tutti i dipendenti dell’azienda.
Gli accordi di riservatezza
Uno strumento che l’azienda può adottare per tutelarsi maggiormente contro dipendenti infedeli è l’accordo di riservatezza o accordo di non divulgazione (NDA, acronimo di Non Disclosure Agreement).
Si tratta di un contratto atipico in forza del quale le parti individuano le informazioni che intendono mantenere confidenziali e si impegnano a non rivelarle a terzi.
Tra i dati e le informazioni indicate come confidenziali possono rientrare, ad esempio, le invenzioni in fase di sviluppo, i brevetti per i quali si è provveduto al deposito, il know-how aziendale, le informazioni finanziarie, i documenti contenenti strategie commerciali, le liste di clienti e le analisi di mercato.
Accanto alla specificazione delle informazioni da mantenere confidenziali, tali accordi contengono l’indicazione del termine della confidenzialità decorrente dalla data di sottoscrizione dell’accordo, la minuziosa specificazione dello scopo per il quale deve essere inibita la divulgazione delle informazioni nonché l’eventuale obbligo del segreto successivamente alla cessazione del rapporto contrattuale.
Caratteristica di tali accordi è la previsione di una clausola penale con cui le parti concordano preventivamente l’importo del danno che dovrà essere corrisposto dalla parte inadempiente, senza che la controparte sia gravata dell’onere della prova di avere subito effettivamente un danno di misura corrispondente.
L’accordo di riservatezza è, dunque, uno strumento di tutela imprescindibile contro i dipendenti e che presenta sostanzialmente due punti di forza:
- garantisce che il dipendente sia vincolato al segreto anche dopo la conclusione del rapporto lavorativo;
- se è prevista una clausola penale, chi viola l’accordo dovrà corrispondere l’importo del danno che è stato concordato preventivamente nella clausola, senza che la parte lesa debba dimostrare di avere effettivamente subito un danno(tale onere della prova, invece, grava sul datore quando agisce in giudizio contro il lavoratore per il risarcimento del danno patito a causa della divulgazione di informazioni aziendali riservate).
Conclusioni
Come abbiamo visto, il segreto aziendale è tutelato dalla legge e la violazione dello stesso da parte di un dipendente determina un presupposto per il licenziamento per giusta causa. Tuttavia, più che di una tutela a posteriori, le aziende hanno spesso bisogno di una tutela “a monte”: essa è efficacemente offerta da un accordo di riservatezza che definisca, senza dare adito a nessun dubbio, i dati e le informazioni che l’azienda intende mantenere riservate e che presenta dei punti di forza assolutamente non trascurabili.
Chi posso contattare per saperne di più?
Per maggiori informazioni, potete contattare l’ Avv. Stefano de Luca Tamajo ( sdlt@toffolettodeluca.it ), Partner dello Studio e Responsabile del team dedicato al prodotto Tutela dei segreti aziendali.
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