Last Updated on Ottobre 13, 2021
Il whistleblowing è un tema che interagisce profondamente con il profilo etico-culturale dei vari Paesi e, per tale motivo, presenta un quadro globale molto variegato: è questo l’aspetto più evidente che emerge dall’indagine riassunta nell’ultima Law Maps™ pubblicata da Toffoletto De Luca Tamajo, uno dei maggiori studi legali italiani specializzato in diritto del lavoro e sindacale per le aziende nonché in materia di contratti di agenzia.
A dicembre 2017, infatti, è entrata in vigore nell’ordinamento italiano la norma che regolamenta, anche per il settore privato, la segnalazione da parte dei dipendenti di eventuali illeciti prevedendo, tra l’altro, una serie di tutele e garanzie a favore del whistleblower.
Ad aprire la strada al whistleblowing è stata la legge USA Sarbanes-Oxley nel 2002 che vincolava le aziende statunitensi a rispettarla anche nelle attività svolte all’estero, con ripercussioni quindi sugli altri Paesi – commenta l’avvocato Federica Paternò, partner di Toffoletto De Luca Tamajo –. L’Europa ha avuto una reazione piuttosto fredda alla legge: pochi Stati si sono mossi tempestivamente e, in linea generale, gli interventi hanno mirato ad attenuare l’impatto pervasivo della disciplina statunitense. Tradizionalmente in questi Paesi c’è, infatti, una difficoltà culturale ad accettare e, addirittura, incentivare i delatori. Non è un caso che nella maggior parte dei vocabolari europei la parola assume connotazioni dispregiative. Il dibattito sull’argomento esportato dagli Stati Uniti ha, sia pure con tempi e modalità diverse, aiutato la metabolizzazione di un concetto di “delazione virtuosa”. Per questo alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno ritenuto la necessità di normare modelli di protezione dell’anonimato e, comunque, del rapporto di lavoro di chi, nell’interesse dell’ente o dell’azienda, segnala un illecito o una grave irregolarità e tutti i passi che il datore di lavoro e l’organismo di sorveglianza devono compiere».
L’indagine in materia di whistleblowing è illustrata nell’ultima Law Maps™ pubblicata dallo Studio che, grazie alla collaborazione di Ius Laboris – l’Alleanza mondiale di specialisti in diritto del lavoro che lo Studio ha contribuito a fondare – esamina e mette a confronto 44 Paesi. Con l’obiettivo di verificare l’esistenza o meno di una normativa in materia di whistleblowing, i Paesi oggetto d’indagine sono stati classificati in tre macroaree: quelli in cui non esiste alcuna normativa specifica, quelli in cui la normativa trova applicazione solo in alcuni settori e/o per specifiche materie e, infine, quelli in cui vi è una disciplina di generale applicazione. All’interno di queste tre categorie ci sono molte differenze, in particolare tra i Paesi in cui non vi è alcuna norma e tra quelli in cui la norma è solo di parziale applicazione.
Nella prima macroarea – in cui non è prevista alcuna normativa riconducibile al whistleblowing – riveste un peso particolare l’aspetto culturale. In Russia, per esempio, non è ritenuta necessaria e si ricorre alla disciplina in materia di tutela dei dati personali, che garantisce il divieto di comunicare l’identità del whistleblower senza il suo consenso. In Argentina vige invece il principio generale della non discriminazione, mentre in Spagna da gennaio 2016, pur in assenza di una disciplina di legge, le imprese hanno comunque implementato procedure interne che consentano la segnalazione di eventuali illeciti o malversazioni.
Se esaminiamo la categoria intermedia – che ricomprende i Paesi che hanno adottato una normativa in materia di whistleblowing solamente per alcuni settori e/o finalità – emerge che, nella maggior parte dei casi, la disciplina ha ad oggetto segnalazioni in materia di anticorruzione o antiriciclaggio. È il caso di Danimarca, Ucraina, Grecia, India, Kazakistan e Lussemburgo. In quest’ultimo la disciplina riguarda anche segnalazioni in materia di finanziamento al terrorismo, abusi di mercato, traffico di influenze illecite, molestie e discriminazione.
Limitazioni anche in Ungheria, India e Emirati Arabi Uniti, in cui la norma si applica esclusivamente al settore pubblico, come era in Italia prima della recente riforma. Interessante che Germania, Belgio, Polonia e Portogallo ne limitino l’applicazione alle sole imprese operanti nel settore finanziario; i Paesi Bassi unicamente alle imprese sopra i 50 dipendenti mentre la Cina solo alle high risk industries.
«In Italia il whistleblowing ha luci ed ombre – continua l’avvocato Paternò – . Se, infatti, si è fatto il massimo per chi denuncia, non altrettanto convincente è la protezione di chi viene accusato ingiustamente. La pericolosità del delatore è stata trascurata. Protetto dall’anonimato e dalla difficoltà di provare che abbia agito con dolo o colpa grave anche solo per leggerezza, chi denuncia può provocare danni sia ai colleghi vittime di accuse false, che all’azienda in termini di energie e di risorse per la verifica delle segnalazioni. Non solo: la denuncia falsa si traduce anche in costi organizzativi dovuti al clima di sospetto e diffidenza. Con queste carenze, l’obiettivo di favorire una cultura aziendale della trasparenza, con una comunicazione più lineare tra lavoratori e datore di lavoro per assicurare la legalità e il rispetto delle regole, appare sbilanciato tra la presunzione di innocenza del segnalante e quella di colpevolezza che grava sull’accusato».
“