Last Updated on Dicembre 6, 2019
Di: Avv. Wanda Falco
Il dirigente, quale alter ego dell’imprenditore, è titolare di significativi poteri e prerogative che comportano inevitabilmente maggiori responsabilità e minori tutele normative anche in materia di orario di lavoro.
Infatti, l’art. 17, comma 5 del D.Lgs. n. 66/2003 stabilisce che le disposizioni vigenti in materia di orario normale di lavoro, durata massima dell’orario, lavoro straordinario, riposo giornaliero e pause non si applicano al personale con qualifica dirigenziale. Tale previsione è giustificata dal fatto che non sussiste l’esigenza di un limite orario, essendo il dirigente retribuito in relazione alla qualità e all’obiettivo assegnato, non suscettibile di remunerazione commisurata a tempo.
Tale peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale si manifesta spesso anche nella fruizione delle ferie, essendo, in genere, il dirigente in condizione di poter stabilire in piena autonomia il relativo periodo senza particolari interferenze o limiti, circostanza che, come vedremo, incide anche sulla spettanza dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Vediamo, quindi, nel dettaglio cosa accade in caso di mancata fruizione delle ferie da parte del dirigente.
Il divieto di monetizzazione: cosa accade se il dirigente non va in ferie?
Il divieto di monetizzazione delle ferie non godute sancito dall’art. 10, comma 2 del D.Lgs. n. 66/2003 è finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie da parte del dipendente quale strumento per la tutela della sua salute fisica e psichica. Tale godimento effettivo sarebbe, infatti, vanificato qualora fosse consentita la sostituzione delle ferie con un’indennità la cui erogazione non può essere ritenuta equivalente alla necessaria tutela della sicurezza e della salute, in quanto non permette al lavoratore di reintegrare le energie psico-fisiche (Corte Cost. 95/2016).
Esiste una sola eccezione al divieto di monetizzazione delle ferie ed è prevista nella seconda parte del secondo comma dell’art. 10 cit., che fa salvo il caso di risoluzione del rapporto. Tale eccezione opera esclusivamente nei limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto e non consente la monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti, perché rispetto a queste ultime il datore di lavoro doveva assicurare l’effettiva fruizione.
Ciò non significa che resti privo di tutela il lavoratore al quale il godimento delle ferie non sia stato in effetti garantito negli anni antecedenti a quello nel corso del quale si sia verificata la risoluzione del rapporto. Infatti, sia in corso di rapporto sia al momento della sua risoluzione, il lavoratore può invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro e non gli abbia consentito di recuperare le energie psico-fisiche.
Chiaramente tale inadempimento deve essere addebitabile al soggetto nei cui confronti l’azione di risarcimento dei danni viene esperita e, pertanto, è necessario che il mancato godimento delle ferie derivi da causa imputabile al datore di lavoro.
Questa condizione non si verifica nel caso in cui il dipendente sia un dirigente che, per la posizione apicale ricoperta nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia e senza condizionamento alcuno da parte del titolare dell’impresa, non lo eserciti. In detta ipotesi, infatti, salva la ricorrenza di imprevedibili e indifferibili esigenze aziendali, la mancata fruizione delle ferie finisce per essere la conseguenza di un’autonoma scelta del dirigente, che esclude la configurabilità di un inadempimento colpevole del datore (Cass. 27971/2018).
In altre parole, il dirigente, che abbia il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, ha diritto – al pari degli altri dipendenti – a monetizzare le ferie non godute e maturate in relazione all’annualità in corso al momento della risoluzione del rapporto. Per quelle riferibili agli anni antecedenti, invece, ha l’onere di provare di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive: solo in tal caso sorgerà il diritto alla tutela civilistica (Cass. 23697/2017; Cass. 4920/2016).
Cosa accade se il dirigente non è libero di scegliere se e quando andare in ferie?
Fermo restando quanto detto finora, occorre precisare che esiste una notevole differenza tra la posizione del dirigente apicale, quale è ad esempio il direttore generale, e quella di un dirigente a lui subordinato. Esistono, infatti, gradi diversi di dirigenza: non tutti i dirigenti hanno gli stessi poteri e non tutti, dunque, hanno lo stesso grado di autonomia nella determinazione delle ferie e nella gestione dell’equilibrio tra tempo di lavoro e tempo di riposo. Tale potere può sicuramente essere esercitato da un dirigente apicale o, in generale, da un dirigente che, per la sua specifica posizione all’interno dell’azienda, si trova nella condizione di non dover rendere conto dettagliatamente delle sue decisioni; ciò, ad esempio, accade nelle piccole o medie realtà imprenditoriali in cui il dirigente ha l’azienda nelle proprie mani e può valutare autonomamente se sia il caso di assentarsi per un periodo di ferie, adottando tutte le cautele necessarie a garantire il corretto funzionamento dell’azienda in sua assenza.
A tal proposito si segnala che qualche pronuncia ha precisato che se è vero che il dirigente non ha diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute quando, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non lo abbia esercitato, è altrettanto vero che non può presumersi affatto per tutti i dirigenti la piena autonomia decisionale nella scelta del periodo di ferie: il potere decisionale in merito a “se e quando godere delle ferie” non spetta a tutti i dirigenti in quanto tali (Cass. 4920/2016; Cass. 13953/2009; Cass. 20720/2008). In sostanza, la presunzione di spettanza del potere di autodeterminazione delle ferie per i dirigenti non è assoluta, ma relativa, potendosi, dunque, prospettare la figura del dirigente privo di tale prerogativa.
Solo ove risulti che, nel caso concreto, il dirigente abbia tale potere, può applicarsi il principio secondo cui l’indennità sostitutiva delle ferie non godute non spetta a meno che risultino provate necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive che abbiano impedito la fruizione delle ferie medesime.
Alla luce di quanto appena esposto è possibile desumere che nel verificare la spettanza al dirigente dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute (per gli anni antecedenti a quello di risoluzione del rapporto) occorre compiere alcuni step fondamentali. In particolare bisogna:
- verificare l’esistenza in capo al dirigente di un reale ed effettivo potere di autodeterminazione del periodo di ferie;
- accertare il mancato godimento delle ferie da parte del dirigente;
- ricercare i motivi del mancato godimento e verificare se gli stessi siano dovuti e/o connessi ad oggettive necessità aziendali.
Conclusioni
Le peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale sono evidenti anche in materia di godimento delle ferie e di spettanza dell’indennità sostitutiva. Infatti, fermo restando il diritto all’indennità sostitutiva per le ferie non godute e relative all’annualità nel corso della quale si sia verificata la risoluzione del rapporto, il dirigente avrà diritto alla tutela civilistica per il periodo pregresso solo se non sia dotato di autonomia decisionale nella determinazione delle ferie o se, pur avendo tale potere, non abbia potuto esercitarlo a causa di esigenze aziendali imprevedibili e indifferibili.
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