Rubare o appropriarsi indebitamente di beni che appartengono al datore di lavoro – anche se di modico valore – può integrare una giusta causa di licenziamento.
Il furto di beni aziendali è, infatti, una condotta idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia che è alla base del rapporto di lavoro e ciò indipendentemente dal valore economico dei beni sottratti e, quindi, dalla portata del danno arrecato all’impresa vittima del furto.
Anche di recente la Suprema Corte si è pronunciata sul tema, occupandosi del caso di un dipendente licenziato per giusta causa per essersi appropriato di 1.300 euro, prelevati dalla cassa del punto vendita a lui affidato.
Il lavoratore aveva sostenuto l’illegittimità del recesso non ricorrendo tutti gli elementi tipici della fattispecie penale dell’appropriazione indebita, quali il dolo specifico consistente nell’intento di trarre un ingiusto profitto con altrui danno, la distrazione del bene e l’inadempimento dell’obbligo restitutorio: il dipendente – al momento del controllo contabile dal quale era emerso l’ammanco – aveva immediatamente ammesso la condotta di appropriazione del denaro mancante.
La Suprema Corte ha, invece, confermato la legittimità del licenziamento ritenendo il comportamento contestato idoneo a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, risultando indifferente il rilievo, penale o meno, della condotta. Le finalità e i principî ispiratori del diritto penale – come il principio di offensività – sono diversi da quelli propri del diritto del lavoro in cui la condotta rilevante è quella che consista nella grave violazione dei doveri scaturenti dal rapporto di lavoro e, in quanto tale, giustificativa dell’immediata espulsione del lavoratore, a prescindere dal rilievo penale del suo comportamento.
Dunque, per l’accertamento dell’illecito disciplinare non rileva la sua qualificazione dal punto di vista penale e, in particolare, se l’illecito integri il reato consumato di furto o di appropriazione indebita ovvero solo il tentativo; è, invece, sufficiente che i fatti addebitati ledano l’elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a far dubitare il datore della correttezza dei futuri adempimenti in quanto sintomatica di un disinteresse rispetto agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro (Cass. 8154/2025).
E se il furto ha ad oggetto merce di modico valore?
I medesimi principî sono stati ribaditi anche per questa ipotesi. Infatti, la tenuità del danno arrecato al datore non esclude la lesione del vincolo fiduciario in quanto ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso non rilevano l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale. Ciò che conta è la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica dell’inaffidabilità del dipendente e di un approccio poco incline al rispetto delle regole e degli obblighi di diligenza e fedeltà (Cass. 18184/2017).
La casistica al riguardo è molto varia. La Cassazione ha, ad esempio, confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa:
- di un’addetta alle vendite di un supermercato a cui era stato contestato di aver messo in borsa merce per un valore di 20 euro (Cass. 8918/2024);
- di un dipendente arrestato dalla polizia ferroviaria per furto di 15 litri di gasolio da un automezzo aziendale (Cass. 21770/2022);
- di un dipendente di un supermercato trovato dalla vigilanza aziendale con confezioni di gomme e di caramelle in tasca per un valore pari a circa 10 euro (Cass. 24014/2017);
- di un addetto al reparto pizzeria presso un punto vendita che si era impossessato di due DVD per un valore di 30 euro (Cass. 25186/2016).
Archiviazione penale per tenuità del fatto
A conferma dell’autonomia tra processo penale e processo civile, si segnala che la recente giurisprudenza ha ribadito che l’eventuale archiviazione – per inoffensività o particolare tenuità del fatto – del procedimento penale a carico del dipendente sorpreso a rubare non incide sul processo civile.
L’elemento della speciale tenuità del danno patrimoniale rileva in ambito penale trattandosi di una causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p.p. secondo cui «nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria … la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo …. l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».
La particolare tenuità del fatto e, quindi, del danno arrecato al datore non rileva, invece, in ambito disciplinare e nel processo civile avente ad oggetto l’accertamento della legittimità del licenziamento: esso è governato da un principio diverso da quello di offensività ovvero dal principio della tutela del vincolo fiduciario che prescinde da qualsiasi danno patrimoniale.
Come scoprire i furti dei dipendenti?
La commissione di furti da parte dei dipendenti può essere accertata, ad esempio, attraverso i controlli difensivi che la giurisprudenza consolidata distingue in:
- controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della prestazione lavorativa che li pone a contatto con tale patrimonio;
- controlli difensivi «in senso stretto», diretti ad accertare condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti, anche se queste si verificano durante lo svolgimento della prestazione di lavoro.
I primi dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 St. Lav. che dispone limiti per l’installazione degli strumenti o impianti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza» prevedendo tre condizioni: la finalità dell’utilizzo (esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro, tutela del patrimonio aziendale); l’accordo sindacale o, in mancanza, l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro; l’adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e in ogni caso il pieno rispetto della normativa sulla privacy.
I controlli difensivi «in senso stretto», invece, non avendo ad oggetto l’attività del lavoratore, si situano all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4 e sono, pertanto, estranei ai suoi vincoli.
Tuttavia, affinché tali controlli siano leciti è necessario che:
- sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore (ciò avviene mediante l’adempimento dell’obbligo informativo da parte del datore e il rispetto del Codice della privacy);
- il controllo muova da un fondato sospetto, inteso come un sospetto indotto da elementi oggettivi e concreti;
- il controllo sia ex post rispetto all’insorgere del sospetto (Cass. 18168/2023, Cass. 25732/2021 e Cass. 34092/2021).
Di recente la Cassazione è tornata a pronunciarsi sui controlli difensivi proprio nel caso di un addetto al carico e scarico della merce, licenziato per essersi appropriato di beni aziendali approfittando delle mansioni svolte. La condotta è stata scoperta grazie alle videoregistrazioni delle telecamere installate nel piazzale esterno dell’azienda.
Nel richiamare la giurisprudenza in materia di controlli difensivi, la Corte ha confermato la legittimità delle videoregistrazioni prodotte dalla società: le telecamere erano state installate nel piazzale esterno e non in locali interni riservati ai dipendenti circostanza da cui è possibile desumere che l’uso della videosorveglianza fosse destinato alla sicurezza e alla protezione del patrimonio aziendale; il lavoratore non era specificamente controllato, ma semplicemente investito dal raggio d’azione delle telecamere mentre svolgeva operazioni di carico all’esterno e le riprese erano effettuate in aree visibili e accessibili al pubblico, senza ingerenze nella sfera privata del lavoratore motivo per cui è stata esclusa la violazione della privacy; le registrazioni erano state visionate dal datore di lavoro solo dopo l’insorgenza del fondato sospetto dell’illecito e cioè dopo che il responsabile aveva rilevato delle anomalie (Cass. 3045/2025).
I controlli difensivi possono avvenire anche conferendo mandato a un’agenzia investigativa affinché verifichi – ad esempio – se i ripetuti ammanchi di cassa siano dovuti a meri errori o ad appropriazioni dei dipendenti.
L’attività dell’investigatore è legittima purché non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria riservata dall’art. 3 St. Lav. direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
Dunque, i controlli non devono avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, ma devono essere destinati a verificare l’avvenuta perpetrazione di illeciti, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che siano in corso di esecuzione (Cass. 14454/2017; Cass. 15094/2018; Cass. 11697/2020; Cass. 6468/2024).
Conclusioni
Il furto o l’appropriazione indebita di beni aziendali, anche di modico valore, possono legittimare il licenziamento per giusta causa poiché compromettono irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore e dipendente. Per scoprire se un dipendente commette questo genere di illeciti è possibile realizzare controlli difensivi nei limiti previsti dalla legge e la recente giurisprudenza. Pertanto, sul punto occorre sempre previamente la sussistenza dei requisiti necessari per poterli porre in essere.
Toffoletto De Luca Tamajo è a disposizione per qualsiasi chiarimento e per supportarvi nello svolgimento di controlli difensivi leciti e nell’avviare procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti responsabili di illeciti ai danni del patrimonio aziendale.
Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it