Il periodo di prova è un patto accessorio al contratto di lavoro subordinato in virtù del quale le parti pattuiscono un determinato periodo di tempo in cui accertare la reciproca convenienza alla prosecuzione.
Durante il periodo di prova, infatti, il datore di lavoro ha la possibilità di sperimentare e verificare le capacità e le competenze del lavoratore, mentre quest’ultimo può valutare l’entità della prestazione richiestagli, le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro e l’interesse verso la mansione assegnata.
Affinché sia valido, il patto di prova:
- deve risultare da atto scritto;
- non può superare la durata massima consentita;
- deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere.
Nel 2022 anche la disciplina del patto di prova è stata integrata dal c.d. Decreto Trasparenza (D.lgs. 104/2022), intervenuto in merito alla durata e alla sospensione nonché alla reiterazione dei periodi di prova in assunzioni successive.
Esaminiamo, pertanto, nel dettaglio le recenti novità normative e la giurisprudenza consolidata sul tema.
Durata e sospensione del periodo di prova
Le principali indicazioni circa la durata e l’eventuale sospensione del periodo di prova sono contenute nell’art. 7 D.lgs. 104/2022.
In particolare, il comma 1 conferma che la durata massima del periodo di prova non può essere superiore a sei mesi ed è fatta salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi.
Tale previsione non costituisce una novità in quanto il limite massimo di sei mesi era già desumibile indirettamente dall’art. 10 L. 604/1966 secondo cui la tutela contro i licenziamenti illegittimi si applica ai lavoratori «assunti in prova, […] dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro».
Il comma 2 dell’art. 7 del Decreto Trasparenza, poi, specifica che in caso di contratti a termine il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.
Che succede se durante il periodo di prova si verificano eventi come malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori?
Il comma 3 dell’art. 7 prevede espressamente che nei casi sopra elencati «il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza».
Tale elencazione, a parere del Ministero del Lavoro, è da considerare meramente esemplificativa e non esaustiva, potendo rientrare nel campo di applicazione della norma tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge 104/1992 (Ministero del Lavoro, circolare n. 19 del 20/09/2022).
La suddetta norma recepisce, infatti, l’orientamento giurisprudenziale che sancisce il c.d. principio di effettività del periodo di prova, secondo cui il decorso del periodo di prova va escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero: tali eventi precludono alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro che costituisce la causa del patto di prova (Cass. 4347/2015; Cass. 40404/2021).
Recesso durante la prova
Come previsto dall’art. 2096 c.c., durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità.
Si tratta, dunque, di un’ipotesi di libera recedibilità dal rapporto di lavoro: come detto, dal punto di vista del datore il periodo di prova è uno strumento di verifica delle capacità professionali e delle attitudini del lavoratore, per cui è possibile recedere senza necessità che sussista una giusta causa o un giustificato motivo qualora queste capacità e attitudini si rivelino diverse da quelle attese.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il recesso intimato nel corso o al termine del periodo di prova ha, quindi, natura discrezionale e non deve essere motivato neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore. Pertanto, in caso di contestazione, il lavoratore – secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c. – dovrà provare
- il positivo superamento del periodo di prova e
- che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito e, quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. 1180/2017; Cass. 23927/2020).
Tuttavia, resta fermo che – come previsto dall’art. 2096 c.c. – l’imprenditore «è tenuto a consentire l’esperimento che forma oggetto del patto di prova».
Da tale obbligo la giurisprudenza ne ha fatto discendere «un limite alla discrezionalità dell’imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento da lui intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestata dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell’esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato» (C. Cost. 189/1980; Cass. 31159/2018).
Pertanto, è illegittimo il recesso per inadeguata durata della prova ovvero quando il periodo di prova sia stato talmente breve da non consentire ragionevolmente di accertare le competenze professionali del lavoratore.
Specifica indicazione delle mansioni
La giurisprudenza ha più volte ribadito che l’art. 2096 c.c. va interpretato nel senso che il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto: ciò è funzionale alla garanzia di un corretto espletamento della prova e alla verifica della conformità a correttezza e buona fede dell’eventuale recesso di una delle parti intimato per mancato superamento.
Infatti, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini e la facoltà del datore di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti esattamente identificati fin dall’inizio (Cass. 6552/2023).
Tale specifica indicazione può essere operata anche mediante rinvio alle declaratorie del contratto collettivo purché il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata (Cass. 1099/2022).
Sul punto si segnala una recente pronuncia che ha, infatti, ritenuto legittimo e sufficientemente specifico il rinvio per relationem alle mansioni di «commodity manager, di VII livello ex c.c.n.l. metalmeccanici» contenuto nel contratto con una lavoratrice addetta alle mansioni di specialista di approvvigionamenti. Il tipo di attività affidatole era precisamente individuabile in considerazione dello specifico rinvio al livello contrattualee della conoscenza del termine inglese utilizzato anche nel curriculum vitae della stessa lavoratrice. La definizione utilizzata nel contratto, in altre parole, consentiva di individuare ex ante quali fossero le mansioni in concreto assegnate alla lavoratrice, «corrispondenti al ruolo di “specialista degli approvvigionamenti” elencato nella declaratoria contrattuale ed unico ruolo possibile anche in considerazione del settore di attività dell’automotive in cui opera la società» (Cass. 5881/2023).
Successione di patti di prova fra le stesse parti
Come anticipato, sulla reiterazione del periodo di prova è intervenuto di recente il Decreto Trasparenza che all’art. 7, comma 2 prevede espressamente che «In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova».
La norma recepisce quell’orientamento giurisprudenziale che esclude la possibilità di stipulare tra le medesime parti più patti di prova successivi aventi ad oggetto le stesse mansioni. Ciò in quanto la ratio del patto di prova è quella di consentire a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza del contratto, per cui non è possibile stipulare più patti di prova successivi tra le medesime parti e aventi ad oggetto le medesime mansioni in quanto il datore ha già verificato le capacità professionali del dipendente.
In alcune pronunce, però, la Cassazione ha ammesso la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti aventi ad oggetto le medesime mansioni nel caso in cui intervengano fattori attinenti, ad esempio, alle abitudini di vita, a problemi di salute del lavoratore o al contesto di svolgimento della prestazione; in tali ipotesi il datore di lavoro ha bisogno di verificare che il sopraggiungere di circostanze nuove non abbia inciso in nessun modo sulle capacità e sulle attitudini del dipendente.
In sostanza, per giurisprudenza consolidata la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile qualora risponda all’esigenza effettiva dell’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo (Cass. 28930/2018; Cass. 7984/2020).
Si pensi, ad esempio, al caso del lavoratore che aveva svolto per brevi periodi l’attività di portalettere in un paesino in provincia di Lecce e successivamente era stato assunto nuovamente in prova per svolgere le medesime mansioni a Milano. In tal caso, è stata confermata la legittimità del patto di prova apposto al contratto nonostante il dipendente fosse stato già assunto in precedenza con vari contratti a termine e con le medesime mansioni: i precedenti contratti erano troppo brevi e la nuova sede di lavoro si trovava in un contesto inevitabilmente più stressante e caotico rispetto a quello cui era abituato il lavoratore, circostanze che avevano reso necessaria la ripetizione del periodo di prova (Cass. 28252/2018).
Conclusioni
Anche nell’indicazione del periodo di prova è necessario fare attenzione ad alcuni accorgimenti per evitare l’invalidità del patto e occorre prestare molta attenzione alla fase del recesso durante il patto di prova.
Lo Studio Toffoletto De Luca Tamajo è a Vostra disposizione per qualsiasi chiarimento in merito alle tematiche trattate.
Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it