La successione degli amministratori all’interno del board è talvolta (ed a torto) considerata come un mero evento futuro piuttosto che parte di un piano organizzativo di cui si possa stabilire una disciplina contrattuale ad hoc da valere alla fine dell’incarico.
Non prevedere quanto possa accadere alla scadenza dell’incarico di un CEO rischia di esporre la società a costi immediati (anche solo in termini di ricerca di altro CEO con le competenze richieste) e soprattutto di interferire negativamente sulla curva di crescita della società stessa.
Di qui l’opportunità di strutturare una strategia di fine mandato e conseguentemente di individuare strumenti che consentano di ottimizzarne la gestione al momento opportuno.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Il trattamento di fine mandato: nozione
Uno degli strumenti che consentono un’efficace gestione della successione degli amministratori, inizialmente adottato dalle grandi imprese, ma oggi positivamente valutato anche dalle piccole e medie, è il TFM (Trattamento di Fine Mandato). Si tratta del compenso aggiuntivo o indennità che la società si impegna a corrispondere all’amministratore alla scadenza del mandato.
Secondo la normativa civilistica, infatti, gli amministratori che prestino la propria opera all’interno della società hanno il diritto di ricevere un compenso ordinario per l’attività prestata, il cui ammontare e le cui modalità di corresponsione sono stabiliti all’atto della nomina oppure mediante delibera dell’assemblea (art. 2389 c.c.). In particolare, l’art. 2364 c.c. stabilisce che l’assemblea determina il compenso degli amministratori se non previsto dallo statuto e l’art. 2383 c.c. riconosce il diritto al risarcimento del danno in caso di revoca senza giusta causa (si tratta di norme dettate per le società per azioni, ma applicabili per rinvio alle società di capitali in genere).
Inoltre, è ammessa la previsione di un compenso aggiuntivo dovuto a titolo di trattamento di fine mandato, di natura pattizia, lasciato all’autonomia contrattuale delle parti nei limiti di cui all’art. 1322 c.c.
Il TFM è, quindi, una forma di remunerazione aggiuntiva rispetto al compenso ordinariamente erogato agli amministratori, che per quanto mostri similitudine rispetto al TFR a favore del dipendente, ne differisce ontologicamente per non trovare diretta disciplina nella legge, ma appunto nell’autonomia delle parti (in questo senso, da ultimo, anche Cassazione, ordinanza n. 24848/2020).
Il TFM: profili fiscali
Il TFM assume particolare interesse dal punto di vista fiscale.
Infatti, al pari del TFR, consiste in un accantonamento che viene effettuato per ogni esercizio sociale corrispondente alla durata in carica dell’amministratore; per quest’ultimo costituirà reddito nel momento in cui sarà percepito (secondo il criterio di cassa), mentre per la società che lo accantona, rappresenta un costo deducibile nel singolo esercizio di cui l’accantonamento viene effettuato (seguendo, quindi, un criterio di competenza).
Le norme fiscali, inoltre, proprio per evitare che l’amministratore nel momento in cui effettivamente percepisce il TFM passi ad uno scaglione di imposta marginale superiore, prevedono che lo stesso possa essere soggetto a tassazione separata.
Abbiamo, quindi, da un lato, la deducibilità di anno in anno dell’accantonamento da parte della società come costo e dall’altro la tassazione separata dell’emolumento aggiuntivo da parte dell’amministratore, allorché sia effettivamente percepito.
Tuttavia, al fine di assicurare la ricorrenza di entrambi detti benefici, debbono essere rispettati dei presupposti anzitutto di natura formale.
Dal punto di vista fiscale rilevano in particolare:
- l’articolo 17, comma 1, lettera c) del TUIR che consente la tassazione separata (facendo nella specie riferimento alle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa) a condizione che il diritto risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto;
- l’art. 109 TUIR il quale prevede che le spese e gli oneri specificamente afferenti ai ricavi e agli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi.
Ne deriva che sia ai fini della deducibilità del costo che ai fini dell’applicazione del regime della tassazione separata, occorre che esista un atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto con il quale venga stabilito non soltanto il generico diritto dell’Amministratore alla percezione del TFM, ma anche l’ammontare annuo dello stesso o, quanto meno, i criteri per la sua determinazione (in questo senso si veda Cass. 16788/2016; Cass. 19368/2018; Cass. 26431/2018).
La tassazione separata opera entro i limiti previsti dall’art. 24, c. 31 del DL 201/2011 (Convertito in Legge 21/2011): il TFM è, quindi, soggetto a tassazione separata fino all’importo complessivo di un milione di euro, sempreché – come già chiarito – risulti da atto con data certa anteriore all’inizio del rapporto.
Il diritto al TFM e i criteri per la sua quantificazione possono essere stabiliti nello statuto sociale o in sede di una successiva modifica purché antecedente, quest’ultima, alla nomina dell’amministratore a favore del quale si intenda attribuire il TFM.
Il requisito della data certa è, quindi, soddisfatto quando la previsione del TFM è contenuta nello Statuto posto che esso sorge sin dal momento della costituzione della società tramite atto pubblico ed è anteriore – dal punto di vista temporale – all’inizio del rapporto.
Nel caso in cui si ricorra ad una successiva assemblea dei Soci, il relativo verbale dovrà essere redatto in forma di atto pubblico o estratto dal libro delle deliberazioni assembleari e soggetto ad autentica notarile o ancora firmato digitalmente e marcato temporalmente per acquisire la data certa.
Da altro punto di vista, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non possa accogliersi la domanda dell’amministratore volta al pagamento a carico della società delle somme dovute a titolo di TFM in assenza di una specifica delibera sul punto ai sensi dell’art. 2389, 1° comma c.c. (Cass. 25044/2020; Cass. SS.UU. 21993/2008; Cass. 20265/2013).
Sulla stessa scia, la giurisprudenza ha ritenuto che qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389 c.c., comma 1, non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, in considerazione della natura imperativa e inderogabile della previsione normativa negando altresì l’idoneità a tal fine della ratifica successiva, dato che la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti (Cass. 5763/2021).
La quantificazione del TFM è essa stessa presupposto per l’applicazione del richiamato art. 105 comma 4 TUIR: essendo necessario il requisito relativo all’atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, il TFM deliberato con un atto di data certa anteriore all’inizio dell’incarico, ma indeterminato nel quantum, è deducibile per cassa (e non per competenza) al momento del relativo pagamento (Cass. 26431/2018).
Segue: amministratore con speciali incarichi
Parzialmente differente, sempre ai fini fiscali, è il caso del TFM erogato ad un amministratore (nella fattispecie vice presidente del consiglio di amministrazione) cui siano stati attribuiti speciali incarichi.
Secondo l’Agenzia delle Entrate con Risposta 27 aprile 2021, n. 292 il presupposto che il diritto al TFM risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto può ritenersi soddisfatto anche nel caso in cui l’assemblea determini genericamente il diritto all’indennità medesima e sia demandata ad un successivo atto del consiglio di amministrazione la specificazione dell’importo; più precisamente, il diritto all’indennità era stato riconosciuto dall’assemblea dei soci al momento della nomina e la determinazione del suo ammontare era stata disposta dal consiglio di amministrazione successivamente, di anno in anno, circostanza che è stata considerata in linea con quanto previsto dall’articolo 2389, comma 3 c.c.
Segue: socio-amministratore che rinunci al TFM
Un cenno infine all’ipotesi di TFM a favore del socio-amministratore che rinunci allo stesso.
La soluzione prospettata dalla giurisprudenza è che il trattamento di fine mandato cui il socio amministratore abbia rinunciato è soggetto alla consueta tassazione a carico della società, in quanto da un lato costituisce un incasso in senso giuridico e dall’altro arricchisce il socio stesso sotto forma di aumento del valore della partecipazione sociale.
Si tratta, infatti, secondo la giurisprudenza, del conseguimento di un credito il cui importo anche se non materialmente incassato, viene comunque, “utilizzato” ed arricchisce un soggetto giuridico – la società – che appartiene al rinunciante in quanto socio della stessa, il quale altrimenti si gioverebbe, attraverso lo schermo della personalità giuridica ed in violazione del principio della capacità contributiva, dell’incremento della partecipazione sociale (Cass. 12223/2022).
Conclusioni
Il TFM rientra a pieno diritto nelle componenti della corporate governance e saper calibrare accordi congrui e ragionevoli (dal punto di vista civilistico e fiscale), costituisce espressione di una gestione sociale consapevole e mirata, che può garantire una perfomance differenziale sul piano del mercato e del valore dell’azienda.
Di: Avv. Annamaria Occasione
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