Last Updated on Novembre 29, 2023
Secondo i dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro.
Si tratta di discriminazioni che ledono la dignità delle lavoratrici, contrastano con i principî in materia di sostenibilità delle imprese e hanno un impatto negativo sull’organizzazione del lavoro, sui rapporti nei luoghi di lavoro, sulla reputazione e sulla produttività delle imprese.
La gravità e la diffusione del fenomeno emergono dalla Convenzione OIL 190/2019 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che promuove una politica di “tolleranza zero” e sancisce l’importanza di una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell’essere umano.
La Convenzione OIL sulle molestie e l’adeguamento dell’Italia
La Convenzione OIL definisce “violenza e molestie” nel mondo del lavoro l’insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico. Devono, dunque, essere perseguiti sia gli atti ed i comportamenti sistematici sia le condotte realizzate in un’unica occasione nonché le mere minacce.
Nella definizione di violenza e molestie sul lavoro rientrano anche quelle che si verifichino in occasione o in connessione con il lavoro o che scaturiscano dallo stesso; vanno, dunque, perseguite non solo le violenze e le molestie realizzate nel luogo di lavoro, ma anche quelle subìte durante spostamenti o viaggi di lavoro, durante formazione, eventi o attività sociali correlate con il lavoro o addirittura durante gli spostamenti per recarsi al lavoro e per il rientro a casa.
Tra le misure consigliate dalla Convenzione per la prevenzione della violenza e delle molestie si segnalano:
- l’inclusione nella valutazione dei rischi della violenza, delle molestie e dei rischi psico-sociali connessi;
- l’adozione di misure per prevenire i rischi individuati e tenerli sotto controllo;
- l’informazione e la formazione dei lavoratori in merito ai pericoli e ai rischi connessi alla violenza e alle molestie e alle relative misure di prevenzione e di protezione.
La Convenzione – ratificata dall’Italia – impone al legislatore italiano un adeguamento per cui nel corso del primo anno della XIX legislatura sono stati presentati diversi disegni di legge (A.S. 89, 671, 813) di cui alcuni in corso di esame.
Tra le previsioni comuni si segnalano le seguenti:
- la vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sullo stato del rapporto di lavoro della lavoratrice o del lavoratore che abbiano denunciato le molestie, al fine di assicurarne la tutela contro sanzioni, demansionamenti o licenziamenti di natura ritorsiva e nel caso in cui presentino dimissioni volontarie;
- l’introduzione del reato di “molestie sessuali” nonché della circostanza aggravante del fatto commesso nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, anche in fase di reclutamento o selezione, con abuso di autorità o di relazioni di ufficio;.
- la delega al Governo per il riordino degli organismi e dei comitati di parità e pari opportunità
Recenti pronunce sul licenziamento per molestie alle colleghe
La maggiore attenzione e sensibilità nei confronti del fenomeno si evincono anche dalla recente giurisprudenza di legittimità che si è occupata di diversi licenziamenti per giusta causa irrogati nei confronti di dipendenti resisi responsabili di comportamenti inappropriati ai danni di colleghe.
In particolare, la Suprema Corte ha confermato la riconducibilità delle allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale alla definizione di molestie ex art. 26 del D.lgs. 198/2006: «comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio,ostile, degradante, umiliante o offensivo». Ciò che rileva è il carattere indesiderato della condotta, anche se ad essa non conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, a nulla rilevando l’assenza di volontà offensiva e l’esistenza di un clima dei rapporti tra colleghi scherzoso e goliardico (Cass. 23295/2023).
Pacche sul sedere e apprezzamenti fisici volgari sono stati definiti dalla Cassazione comportamenti inaccettabili e umilianti nonché idonei a incidere negativamente sull’organizzazione del lavoro, specie se realizzati da superiori gerarchici. In tal caso, infatti, viene meno il sereno affidamento da parte del datore di lavoro circa la corretta esecuzione dei compiti affidati ed è compromessa l’organizzazione del lavoro anche in ragione del comprensibile turbamento dei rapporti con gli altri dipendenti (Cass. 27363/2023).
Analogamente è stata confermata la legittimità del licenziamento per giusta causa del dipendente che, nonostante la diffida della banca datrice di lavoro, abbia continuato a rivolgere alle colleghe attenzioni non gradite, manifestando un profondo disinteresse per il turbamento e il disagio provocato da continui e inopportuni approcci e inviti. Anche atteggiamenti del genere ledono la dignità e la sicurezza delle dipendenti e sono contrari al decoro e alla correttezza nelle relazioni tra colleghi nell’ambiente lavorativo (Cass. 31790/2023).
Congedi per donne vittime di violenza
Accanto alle misure volte a contrastare la violenza e le molestie sul lavoro, sono fondamentali gli strumenti che consentano un’adeguata conciliazione tra lavoro e vita privata per le lavoratrici vittime di violenza di genere al di fuori dell’ambiente di lavoro.
Si pensi, ad esempio, ai congedi previsti dal D.lgs. 80/2015 – recante proprio misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro – per partecipare a percorsi di protezione certificati.
L’articolo 24 del D.lgs. 80/2015, in particolare, riconosce alle dipendenti – inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza – il diritto a congedi per un periodo massimo di 3 mesi nell’arco di 3 anni decorrenti dalla data di inizio del percorso di protezione.
Il congedo può essere fruito in modalità giornaliera o oraria secondo quanto previsto dai CCNL e in caso di mancata regolamentazione la dipendente può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria.
Per le giornate di congedo la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità giornaliera pari al 100% dell’ultima retribuzione da calcolare prendendo a riferimento le sole voci fisse e continuative della retribuzione stessa.
Per fruire del congedo la lavoratrice è tenuta a:
- preavvisare il datore di lavoro almeno 7 giorni prima dell’inizio del congedo, salvi i casi di oggettiva impossibilità;
- indicare l’inizio e la fine del periodo di congedo;
- consegnare la certificazione relativa al percorso di protezione.
Vi sono poi ulteriori previsioni da parte della contrattazione collettiva anche a livello aziendale.
Conclusioni
La violenza e le molestie sono incompatibili con lo sviluppo di imprese sostenibili avendo un impatto negativo sull’organizzazione del lavoro, sui rapporti di lavoro, sulla reputazione e sulla produttività.
Una politica aziendale che persegua l’obiettivo di una gestione etica e sostenibile in termini ESG non può trascurare i rischi derivanti da fenomeni di violenza di genere e molestie all’interno degli ambienti di lavoro.
Toffoletto De Luca Tamajo è a Vostra disposizione per supportarvi nell’adempimento degli obblighi in materia.
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