Whistleblowing: fare la spia non sempre è disdicevole

Last Updated on Ottobre 13, 2021

Di: Avv. Wanda Falco

Aggiornato al 11 ottobre 2019

Il significato di whistleblowing, termine di derivazione anglosassone, è letteralmente “soffiare il fischietto” e si riferisce a una pratica, nata nei paesi di common law, finalizzata all’anticorruzione e a alla lotta a qualsiasi forma di illecito commesso sul luogo di lavoro. Infatti, è proprio statunitense il Sarbanes Oxley Act (SOX), adottato nel 2002, che introdusse l’obbligo per le grandi società di dotarsi di strutture interne di controllo e di canali dedicati alla denuncia di irregolarità negli ambiti relativi alla contabilità.

Cos’è il whistleblowing?

La pratica del whistleblowing consiste in segnalazioni compiute dai lavoratori che, nello svolgimento delle proprie mansioni, si accorgano di una frode, di un rischio o di una situazione di pericolo che possano arrecare danno all’azienda o all’ente per cui lavorano, nonché a clienti, colleghi e cittadini. La segnalazione, dunque, non è fatta nell’interesse individuale del dipendente, ma nell’interesse pubblico, affinché non venga pregiudicato un bene collettivo.

Pare evidente che il whistleblower, che come tale segnali condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni, sia particolarmente esposto a ritorsioni o discriminazioni causate proprio dal fatto di aver denunciato il datore o i suoi collaboratori; ed è proprio per queste ragioni che in Italia il whistleblower è tutelato sia nel settore pubblico che nel settore privato.

Vediamo nel dettaglio in cosa consistono le tutele a lui garantite.

La nuova legge sul whistleblowing 2017: quali tutele nel settore privato?

Come anticipato, la tutela della denuncia dei comportamenti illeciti da parte dei dipendenti ha trovato spazio anche nell’ordinamento italiano, che ha inizialmente riconosciuto tutele ai soli dipendenti pubblici con l’art. 1, comma 51, della Legge 190/2012 (c.d. Legge Severino), poi modificato dall’art. 31, comma 1, D.L. 90/2014, e successivamente ha introdotto garanzie anche per i dipendenti privati con la Legge 179/2017. Quest’ultima normativa integra quella già presente nel settore pubblico e introduce una specifica disciplina per quello privato. In particolare, la legge si compone di tre articoli: l’articolo 1 modifica l’articolo 54-bis del D.Lgs 165/2001, prevedendo, tra le altre cose, che l’identità del segnalante non possa essere rivelata; l’articolo 2 introduce i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater all’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 prevedendo forme di tutela del whistleblower anche nel settore privato; l’articolo 3, infine, si occupa del rapporto fra il segreto d’ufficio aziendale o professionale e l’obbligo di fedeltà del dipendente (art. 2105 c.c.) e la denuncia degli illeciti, dando priorità all’interesse generale a conoscere gli illeciti al fine di prevenirli o sanzionarli.

Tra le norme menzionate senz’altro è di particolare interesse per il settore privato l’articolo 2 della Legge 179/2017, che introduce tutele del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato e che integra i contenuti dei cosiddetti “modelli 231”. In particolare, tali modelli devono prevedere uno o più canali che consentano segnalazioni circostanziate di condotte illecite e che siano idonei a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante. Non solo. I modelli 231 devono prevedere il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante e nel codice disciplinare vanno introdotte sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelino infondate. A ciò va aggiunta la nullità di provvedimenti quali il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante, il mutamento di mansioni e qualsiasi altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro in conseguenza della segnalazione.

Inoltre, è onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, demansionamenti, licenziamenti e trasferimenti dimostrare che tali misure siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

È opportuno precisare che i soggetti abilitati a fare le segnalazioni sono coloro che rivestono, anche di fatto, funzioni di rappresentanza, amministrazione e controllo dell’impresa (ex art. 5, co. 1, lett. a, D.Lgs. 231/2001) e le persone sottoposte alla loro vigilanza (ex art. 5, co. 1, lett. b, D.Lgs. 231/2001). Le condizioni per beneficiare delle tutele previste sono che l’illecito segnalato rientri nell’ambito dei reati indicati dal D.Lgs 231/2001, che implichi la violazione del modello di organizzazione ex art. 6 e che sia stato compiuto nell’interesse e a vantaggio dell’azienda per cui il segnalante lavora. Qualsiasi altro tipo di segnalazione o denuncia restano, dunque, fuori dal perimetro della legge.

Oltre ai limiti appena evidenziati, esiste anche un altro limite alle segnalazioni: non c’è alcun obbligo di segnalare né è ravvisabile un dovere di indagine a carico del lavoratore. Infatti, come precisato dalla Corte di Cassazione, sez. Quinta Penale, Sentenza del 26/07/2018, n. 35792 (relativa al caso di un dipendente pubblico, ma il cui principio di diritto trova applicazione anche al dipendente privato) la normativa vigente è finalizzata a garantire adeguate tutele al segnalante e a scongiurare conseguenze sfavorevoli per chi acquisisca nel contesto lavorativo notizia di un’attività illecita, ma non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni autorizzando improprie attività investigative. Dunque, non può invocare la tutela del whistleblowing (ex L. n. 179/2017) il dipendente che si improvvisi investigatore e violi la legge per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente di lavoro.

Brevi considerazioni sui limiti della normativa nel settore privato

Ferme restando le buone intenzioni del legislatore, sembra opportuno fare alcune considerazioni sui limiti della normativadi tutela, che in parte probabilmente verranno superati con il recepimento della direttiva UE 2019.

In primis, solo i dipendenti di società dotate di un modello 231 ricevono tutele in caso di segnalazione; l’istituto del whistleblowing nel settore privato è, infatti, inserito all’interno del D.Lgs 231/2001 con la conseguenza che la normativa interessa solo le società che hanno adottato il modello 231. Inoltre, le condotte segnalabili sono solo quelle che integrano i reati previsti dal D.Lgs. 231/2001 e che implichino la violazione del MOG (modello di organizzazione e gestione), con la conseguenza che restano fuori, ad esempio, i reati previdenziali e quelli tributari. Non solo. Il sistema di tutela protegge significativamente il whistleblower contro possibili ritorsioni, ma non sembra offrire altrettante garanzie a favore di chi sia ingiustamente accusato. Come evidenziato dall’avv. Bottini, partner dello studio Toffoletto De Luca Tamajo, in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, “Chi denuncia è più tutelato dell’accusato”, le denunce infondate sono sanzionate disciplinarmente solo se effettuate con dolo o colpa grave e non è richiesto al segnalante di fornire almeno un principio di prova dell’intento ritorsivo di eventuali provvedimenti adottati nei suoi confronti, come invece è previsto per altre forme di discriminazione. Inoltre, la nullità senza limiti di tempo di tutti gli atti pregiudizievoli per il whistleblower potrebbe portare a situazioni paradossali: anche dopo anni dalla presentazione di una denuncia il dipendente potrebbe lamentare la nullità di un licenziamento o di una qualsiasi altra modifica organizzativa avente un impatto negativo, anche indiretto, sulle sue condizioni di lavoro.

La direttiva UE 2019

La legge nazionale sul whistleblowing brevemente illustrata è, tuttavia, destinata a subire nuove modifiche in virtù della direttiva UE approvata il 16 aprile 2019 dal Parlamento e il 7 ottobre dal Consiglio dei Ministri dell’UE (e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni).

La direttiva, infatti, prevede che l’obbligo di istituzione di canali e procedure per le segnalazioni interne riguarda tutte le imprese con più di 50 dipendenti, a prescindere dall’adozione del modello 231, i comuni con più di 10.000 abitanti e gli enti pubblici con meno di 50 dipendenti.

Inoltre, la direttiva si applica a un novero più ampio di soggetti in quanto riguarda i segnalanti che hanno acquisito informazioni sulle violazioni in un contesto lavorativo, inclusi i lavoratori autonomi, gli azionisti, i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza, i consulenti, gli stagisti, i volontari e qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori. La protezione, inoltre, riguarda non solo chi segnala, ma anche i colleghi e i parenti che aiutano il whistleblower nel suo percorso di segnalazione. Le protezioni per i segnalanti, dunque, si applicano anche ai facilitatori (persone fisiche che assistono il whistleblower nel processo di segnalazione sul luogo di lavoro) e ai terzi connessi con il segnalante che possono subire ritorsioni.

Oltre all’ampliamento delle categorie di soggetti beneficiari delle tutele, le nuove disposizioni europee perseguono uno scopo più ampio e generale rispetto alla normativa italiana attualmente vigente. Come abbiamo visto sopra, in Italia le tutele legali previste per i segnalanti sono concesse solo entro il campo di applicazione del D.Lgs. 231/2001 e, quindi, solo limitatamente alle segnalazioni aventi ad oggetto i reati previsti dal medesimo decreto (es. reati societari, ambientali) e commessi nell’interesse e a vantaggio dell’ente mediante violazione del MOG. Al contrario, le nuove disposizioni europee sono volte a disciplinare le segnalazioni di violazioni del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, servizi, prodotti e mercati finanziari, sicurezza dei prodotti e dei trasporti, ambiente, salute pubblica, diritti dei consumatori, vita privata e dati personali.

Altra significativa novità è costituita dal fatto che, come previsto dall’art. 10 della Direttiva, le segnalazioni anche nel settore privato possono essere comunicate non solo all’interno dell’ente interessato (ad esempio, all’azienda), ma anche direttamente alle autorità nazionali competenti. Qualora questi canali non siano disponibili o non funzionino appropriatamente, i potenziali whistleblower possono ricorrere alla denuncia pubblica (sui media).

In particolare, la persona che divulga pubblicamente informazioni su violazioni che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva può beneficiare della protezione da questa prevista se ricorre una delle seguenti condizioni: 1. ha prima effettuato una segnalazione interna ed esterna, o direttamente esterna, ma non è stata intrapresa un’azione appropriata in risposta alla segnalazione entro il termine ragionevole di 3 mesi; 2. ha fondati motivi di ritenere che: a. la violazione possa rappresentare un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse; oppure b. in caso di segnalazione esterna, sussista il rischio di ritorsioni o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente siano scarse, come avviene in presenza della possibilità che vengano occultate o distrutte prove.

Conclusioni

L’intervento della direttiva UE, come visto, tende ad appianare le differenze di tutela attualmente esistenti tra settore pubblico e settore privato non solo ampliando l’ambito di applicazione soggettivo delle tutele, ma anche il novero dei soggetti deputati alla ricezione delle segnalazioni. I dipendenti pubblici, infatti, possono inviare le segnalazioni all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), all’autorità giudiziaria e alla Corte dei Conti, possibilità attualmente preclusa ai dipendenti privati che possono inviarle solo al datore di lavoro e all’Organismo di vigilanza 231. Solo con una sostanziale equiparazione tra pubblico e privato in materia di destinatari delle tutele e di modalità di segnalazione (che avverrà, ad esempio, riconoscendo tutela anche a dipendenti di società che non adottano il modello 231 e consentendo le segnalazioni a soggetti esterni diversi dal datore e dall’ODV) sarà, dunque, possibile incrementare le segnalazioni anche in quest’ultimo settore così come sono aumentate significativamente in quello pubblico. Infatti, il IV rapporto annuale sul whistleblowing dell’ANAC 2019 evidenzia come da settembre 2014 a giugno 2019 si sia verificato un boom di segnalazioni proprio in concomitanza con l’entrata in vigore della legge nazionale sul whistleblowing 2017 che ha innegabilmente rafforzato le tutele per i dipendenti pubblici.

Concludendo, le disposizioni in materia di whistleblowing attualmente vigenti in Italia sono volte da un lato a tutelare la riservatezza dell’identità dei soggetti segnalanti e a proteggerli da atti ritorsivi conseguenti alle segnalazioni e dall’altro a consentire agli enti di conoscere e interrompere comportamenti illeciti che potrebbero arrecare alle aziende un danno di immagine o economico. Tuttavia, resta ancora aperta la problematica della carenza, anzi assenza, di garanzie per l’accusato, ma non si esclude che in sede di recepimento della direttiva anche questo profilo possa essere oggetto di intervento da parte del legislatore nazionale.

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