In caso di dimissioni il datore di lavoro può rinunciare al preavviso senza corrispondere l’indennità sostitutiva

L’istituto del preavviso è comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato, come il contratto di agenzia e il contratto di lavoro subordinato, e la sua funzione consiste nell’attenuare le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto per la parte che subisce il recesso.

Nel caso di rapporti di lavoro a tempo indeterminato la funzione del preavviso è quella di garantire alla parte che subisce il recesso di organizzarsi per trovare un sostituto (in caso di dimissioni) o per trovare un nuovo lavoro (in caso di licenziamento).

Che succede se il lavoratore si dimette con preavviso e il datore di lavoro vi rinuncia?

Sul punto si sta consolidando un interessante orientamento giurisprudenziale che correttamente dispone che in caso di dimissioni il datore che rinunci al preavviso non debba corrispondere all’ex dipendente l’indennità sostitutiva.

Vediamo nel dettaglio cosa dice la più recente giurisprudenza sul tema.

La recente sentenza della Corte di Cassazione sulla libera rinunciabilità del preavviso

La Cassazione, con ordinanza n. 6782 del 14 marzo 2024, si è occupata del caso di una lavoratrice dimessasi con preavviso a gennaio 2017. I giudici di merito avevano condannato il datore di lavoro – che aveva prontamente rinunciato al preavviso – a pagare all’ex dipendente l’indennità sostitutiva.

La sentenza di appello è stata cassata dalla Suprema Corte che, decidendo nel merito, ha enunciato il seguente principio di diritto: «la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.».

Esaminiamo, dunque, nel dettaglio l’iter decisionale che ha portato la Cassazione a confermare l’orientamento già espresso in una precedente pronuncia.

Il tema della rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente e delle conseguenze giuridiche di tale rinuncia è strettamente connesso alla natura dell’istituto del preavviso ed alla sua efficacia: reale o obbligatoria.

Secondo un orientamento ormai superato – che sosteneva l’efficacia reale del preavviso – durante il periodo di preavviso proseguono gli effetti del rapporto di lavoro: il recesso produce i propri effetti unicamente decorso il termine di preavviso, sia questo lavorato o meno. In mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto sussiste il diritto alla prosecuzione dello stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine (Cass. 5405/2013).

Dalla natura reale del preavviso discende – come sostenuto anche da una parte della dottrina (si veda, ad esempio, Mancini) – la sua irrinunciabilità: se il preavviso ha efficacia reale, non esiste la possibilità per la parte che subisce il recesso di incidervi, ma solo quella di recedere a propria volta dal rapporto.

L’orientamento consolidato, invece, sostiene l’efficacia obbligatoria del preavviso partendo da un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c. Secondo tale norma il preavviso è un obbligo della parte recedente, a cui corrisponde il diritto della parte che subisce il recesso di riceverlo. Ne consegue che la parte che eserciti il recesso può sostituire il periodo di preavviso con la relativa indennità senza che sia necessario il consenso dell’altra parte. In altre parole, se una delle parti esercita la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva. In alternativa, la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, può acconsentire, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (Cass. 27391/2013; Cass. 3543/2021).

L’obbligo del preavviso è, dunque, un’obbligazione alternativa in capo alla parte recedente, libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione a controparte dell’indennità, con immediato effetto risolutivo del recesso.

La rinuncia al preavviso è, quindi, certamente possibile: il preavviso è, infatti, per il recedente un mero obbligo (accessorio e alternativo) ed è un diritto di credito della controparte, diritto che potrebbe essere oggetto di rinuncia. In assenza di una clausola contrattuale che determini le conseguenze dell’atto di rinuncia del datore di lavoro al preavviso, non può sorgere un’obbligazione quale quella di corrispondere l’indennità sostitutiva ex art. 2118 c.c.: la rinuncia ad un diritto non può determinare l’insorgere di un’obbligazione in quanto le fonti delle obbligazioni sono tipiche, come previsto dall’art. 1173 c.c. secondo cui «le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità  dell’ordinamento giuridico».

Nel caso esaminato non si è verificato alcun fatto illecito, non potendo essere considerata tale la rinuncia a un diritto, e non è ravvisabile alcun atto o fatto idoneo a far sorgere una simile obbligazione.

Affinché sorga l’obbligo in capo al datore di lavoro – che abbia rinunciato al preavviso – di pagare al dimissionario l’indennità sostitutiva, occorre una specifica clausola nel contratto, individuale o collettivo, che disciplina il rapporto. Tale clausola dovrebbe prevedere espressamente che in caso di dimissioni il datore, che intenda rinunciare al preavviso, debba corrispondere all’ex dipendente la relativa indennità sostitutiva. Si tratta in ogni caso di clausole che non hanno un fondamento giuridico, come visto. Ne deriva che anche i contratti collettivi dovrebbero adeguarsi all’orientamento giurisprudenziale appena descritto.

I precedenti giurisprudenziali

Tale orientamento è stato di recente enunciato dalla Corte di Cassazione anche con l’ordinanza n. 27934 del 13 ottobre 2021: la controversia traeva origine dalle dimissioni di un dirigente che, ricevuta la rinuncia da parte del datore al preavviso, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’indennità sostitutiva. Anche in questo caso il decreto è stato revocato in quanto «dalla natura obbligatoria del preavviso discende che la parte non recedente, che abbia rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso».

Conclusioni

In caso di dimissioni del dipendente la rinunzia al periodo di preavviso da parte del datore di lavoro non comporta l’obbligo di corrispondere al lavoratore la relativa indennità sostitutiva, in assenza di una specifica clausola contenuta nel contratto individuale di lavoro o nel contratto collettivo applicato al rapporto.

In ogni caso, per evitare possibili controversie sul punto, è opportuno inserire nei contratti individuali di lavoro (laddove non sia presente una disposizione della contrattazione collettiva contraria) una esplicita clausola che consenta al datore di lavoro, ricevuto il preavviso da parte di un dipendente, di rinunciarvi senza dover corrispondere alcuna indennità sostitutiva del preavviso.

Lo Studio Toffoletto De Luca Tamajo è a Vostra disposizione per qualsiasi chiarimento e per assistervi nella redazione delle clausole per il caso di cessazione del rapporto di lavoro.

Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it
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