Blocco dei licenziamenti: la ripetuta proroga è incostituzionale?

Last Updated on Ottobre 13, 2021

Di: Avv. Wanda Falco

Uno degli interventi adottati dal Governo in ambito lavoristico e volti a fronteggiare le pesanti ripercussioni economiche dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 è costituito dal blocco dei licenziamenti collettivi e per GMO.

Tutto è iniziato con l’art. 46 del DL Cura Italia che precluse per 60 giorni i licenziamenti collettivi, stabilendo anche la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, nonché i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Il blocco dei licenziamenti è stato, poi, ulteriormente prorogato dal DL Rilancio, dal DL agosto e, da ultimo, dal DL Ristori che all’art. 12 ne dispone la vigenza fino al 31 gennaio 2021.

Sono inevitabilmente emersi dubbi sulla legittimità costituzionale di tale ripetuta proroga del blocco dei licenziamenti che appare in contrasto con l’art. 41 Cost., norma che sancisce la libertà di iniziativa economica privata.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Le molteplici proroghe del blocco dei licenziamenti

Come anticipato, secondo l’art. 12 del DL Ristori fino al 31 gennaio 2021 restano preclusi l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo nonché restano sospese le procedure pendenti (si segnala che il disegno di legge di bilancio 2021 attualmente disponibile prevede una proroga del blocco fino al 31 marzo 2021).

La preclusione o la sospensione non trovano applicazione:

  1. per il personale coinvolto in un cambio appalto, qualora il medesimo sia riassunto in forza di una “clausola sociale” contenuta in una norma di legge, in un contratto collettivo o in una clausola del contratto d’appalto;
  2. per i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività;
  3. qualora sia raggiunto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale un accordo collettivo aziendale volto a incentivare la risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che vi aderiscono (in questo caso ai lavoratori è riconosciuto anche il trattamento Naspi);
  4. per i licenziamenti intimati in caso di fallimento quando non sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa.

Si tratta dell’ennesima proroga del blocco dei licenziamenti originariamente disposto dall’art. 46 del DL Cura Italia.

In sostanza, con il primo decreto – contenente le misure necessarie a far fronte all’emergenza epidemiologica – la durata massima del divieto di licenziamenti collettivi e per GMO era di 60 giorni che, con i successivi 3 decreti, sono diventati circa 10 mesi.

La lesione dell’art. 41 Cost.

1. Il bilanciamento tra libertà di impresa e diritto al lavoro e il DL Cura Italia

Il blocco dei licenziamenti obbliga i datori di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze lavoratori in esubero rispetto alle proprie esigenze organizzative e produttive.

Un divieto del genere comprime la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore sancita dall’art. 41 Cost., che consente al datore di lavoro di determinare l’assetto organizzativo della propria azienda.

La libertà economica, infatti, implica che l’imprenditore possa esercitare tutti i poteri di amministrazione e gestione del personale e scegliere autonomamente l’organizzazione aziendale, purché ciò non contrasti con “l’utilità sociale”.

Si ricorda, in particolare, che la giurisprudenza ormai consolidata in materia di licenziamento per GMO riconosce la legittimità dello stesso anche in assenza di una crisi aziendale, purché sia dimostrata la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste alla base del licenziamento, ed esclude il sindacato “di merito” sulla congruità e opportunità della scelta espulsiva fatta dall’imprenditore.

Indubbiamente il valore costituzionale fondamentale della libertà di iniziativa economica privata deve essere contemperato con altri principi di rango costituzionale come il diritto al lavoro e alla tutela della salute: il bilanciamento tra valori di rango costituzionale e il conseguente punto di equilibrio inevitabilmente mutano in una situazione di emergenza quale quella che stiamo vivendo che giustifica una misura come il blocco dei licenziamenti.

Tuttavia, una limitazione della libertà di impresa può essere considerata legittima solo se disposta da una norma di carattere transitorio ed eccezionale, giustificata da ragioni di emergenza e necessità.

Tale doveva essere l’iniziale previsione dell’art. 46 del DL Cura Italia che stabiliva una sospensione delle procedure all’interno di un arco temporale limitato al 17 maggio 2020. Questa disposizione si giustificava alla luce dell’intero impianto del Decreto Legge, volto ad introdurre “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”: nella prima fase dell’emergenza, segnata dal blocco quasi totale delle attività produttive, è stata sicuramente apprezzabile la scelta di salvaguardare i livelli occupazionali evitando licenziamenti di massa.

Si trattava, dunque, di una previsione transitoria, provvisoria ed eccezionale, volta a regolare una particolare situazione di emergenza che aveva imposto il fermo di gran parte delle attività produttive e aveva giustificato il temporaneo sacrificio di alcuni diritti fondamentali. Inoltre, l’onere economico della conservazione di rapporti di lavoro improduttivi e in esubero era stato assunto dallo Stato attraverso le integrazioni salariali.

2. Le proroghe e i dubbi di legittimità costituzionale

Diversa è la situazione configuratasi con la proroga stabilita dal decreto legge n. 34/2020 (e con le successive proroghe): era, infatti, venuta meno la eccezionalità in quanto il lockdown era cessato e l’obiettivo del Governo era quello di far ripartire le attività produttive.

La proroga, inoltre, ha accentuato “il disallineamento tra durata del divieto e durata della cassa integrazione interamente finanziata dallo Stato così da determinare l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni per i periodi non coperti dalla cassa integrazione a causale Covid, e di sostenere l’onere contributivo relativo all’eventuale accesso alle causali ordinarie della Cassa” (Proia, Divieto di licenziamento e principi costituzionali, MGL n. 3/2020).

Affinché sia legittima, la proroga deve, dunque, essere contenuta in una disposizione temporanea ed eccezionale e non devono sussistere costi per le imprese: la CIG deve coprire completamente il periodo di blocco. Ne consegue che “la mancata corrispondenza tra la proroga del blocco sino al 17 agosto 2020 e la copertura della CIG (il cui intervento è stato ammesso in due fasi, la prima di 5 settimane entro agosto, la seconda di altre 4 settimane dal 1° settembre al 31 ottobre 2020, cosicché restano scoperte almeno 6 settimane), si rivela incostituzionale per contrasto con l’art. 41, comma 1, Cost.” (Zoli, La tutela dell’occupazione nell’emergenza epidemiologica tra fra garantismo e condizionalità, Labor, 4/2020).

Infine, pur in mancanza di quel grado di emergenza che aveva giustificato la previsione del blocco dei licenziamenti del DL Cura Italia, le proroghe hanno mantenuto il carattere di indifferenziata generalità del divieto, prescindendo dalle possibili specificità delle situazioni aziendali e dalle motivazioni del licenziamento, essendo preclusi anche quelli derivanti da esigenze organizzative ed economiche che non hanno alcuna connessione causale con l’emergenza Covid (G. Vidiri, Incostituzionalità del blocco dei licenziamenti, Conversazioni sul lavoro dedicate a Giuseppe Pera dai suoi allievi).

Interessante è anche la tesi di chi sostiene che il divieto di licenziamento rappresenti una “scorciatoia” del legislatore per non attivare la tutela dell’art. 38, comma 2, Cost. (secondo cui “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”).

Se è vero che “la Costituzione pone determinate obbligazioni sociali direttamente a carico del datore di lavoro, quello della previdenza (e, in particolare, della tutela contro la “disoccupazione involontaria”) è un compito che, invece, fa capo alla intera collettività organizzata nello Stato” (Proia). Il diritto al lavoro, ex art. 4 Cost., implica il dovere dello Stato di adottare politiche rivolte a creare le condizioni per la massima occupazione possibile, ma non incide sulla libertà dell’impresa di recedere dal rapporto di lavoro in presenza di giustificate ragioni economiche o organizzative.

Con toni piuttosto aspri, infine, c’è chi ricorda che, in quanto oggetto di una libertà, l’impegno dell’imprenditore deve poter cessare senza subire una imposizione dello Stato: il lavoro è oggetto di un diritto, non di una pretesa dello Stato persona (Gragnoli, L’insopprimibile libertà di cessare l’impresa e l’illiceità del divieto di licenziamento, MGL, n. 3/2020). Nel medesimo contributo l’autore citato spiega che poiché la libertà di cessare l’impresa è insopprimibile e insita nel nucleo fondamentale dell’art. 41 Cost., il divieto di licenziamento assume “lineamenti illeciti ed è paragonabile a una espropriazione senza indennizzo, vietata dall’art. 42 Cost.”. Infatti, se l’imprenditore non può realizzare ricavi e deve proseguire il rapporto per mesi, con oneri economici suoi ed esclusivo interesse del dipendente, l’ordinamento espropria mezzi finanziari aziendali, in funzione sostitutiva rispetto ad azioni previdenziali e assistenziali. L’espropriazione dei mezzi patrimoniali deve trovare equo indennizzo, che, in questo caso, per la natura stessa dell’intervento, deve essere satisfattivo e pari al danno subìto per la lesione della libertà (Gragnoli, L’insopprimibile libertà di cessare l’impresa e l’illiceità del divieto di licenziamento, MGL, n. 3/2020).

Conclusioni

Il divieto di licenziamento per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica è un provvedimento di sostegno dell’occupazione che non tiene conto delle esigenze delle imprese: esso, infatti, ostacola la ripresa del mercato del lavoro, impedisce l’immediata ripartenza e si limita a posticipare la riorganizzazione, la ristrutturazione e le riduzioni di organico.

Sono sempre più forti i dubbi di legittimità costituzionale della scelta di prorogare a tempo indeterminato il blocco dei licenziamenti: si tratta, infatti, di un provvedimento che comprime da circa un anno il potere dell’imprenditore di organizzare in piena libertà la propria azienda con un costante adeguamento all’andamento del mercato in cui opera anche mediante la soppressione di settori che la pandemia ha reso irrecuperabili al fine di investire in altri ambiti.

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