Gli accordi di prossimità: quali opportunità per le imprese?

Last Updated on Ottobre 13, 2021

Di: Avv. Wanda Falco

L’art. 8 della L. 148/2011 consente alle imprese di derogare, entro certi limiti e per specifiche materie, le disposizioni di legge e i contratti collettivi nazionali di lavoro mediante contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale e territoriale (detti anche “accordi di prossimità”).

Si tratta di specifiche intese efficaci erga omnes ed abilitate a derogare la legge e le relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, con riferimento:

  1. agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
  2. alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
  3. ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
  4. alla disciplina dell’orario di lavoro;
  5. alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.

Si tratta di uno strumento che offre alle imprese la possibilità di adeguare alcuni istituti normativi e contrattuali alle condizioni e alle specifiche esigenze delle diverse realtà aziendali.

Vediamo, pertanto, nel dettaglio quali sono i vantaggi e le opportunità degli accordi di prossimità.

I contratti di prossimità: condizioni e limiti

Gli accordi di prossimità offrono ai datori di lavoro maggiore flessibilità in quanto consentono di derogare anche in peius le disposizioni di legge e di CCNL.

Si tratta, tuttavia, di uno strumento sottoposto inevitabilmente ad alcuni limiti e condizioni, quali:

  1. il contratto collettivo di prossimità deve essere un accordo collettivo di livelloaziendale o territoriale, stipulato con organizzazioni sindacali dotate di notevole capacità rappresentativa (“associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”);
  2. tali accordi sono tenuti al rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro;
  3. le specifiche intese devono essere “finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”;
  4. l’elencazione delle materie derogabili ha natura tassativa e non consente ampliamenti attraverso il ricorso ad interpretazioni analogico-estensive: la natura tassativa dell’elenco si desume, come evidenziato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 221 del 4 ottobre 2011, dall’art. 8, comma 2-bis secondo cui le specifiche intese “operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ciò significa che l’effetto derogatorio di cui al comma 2-bis può operare solo relativamente alle materie di cui comma 2.

Le finalità perseguite dagli accordi di prossimità

Tra i limiti degli accordi di prossimità, particolarmente interessanti sono i cosiddetti “vincoli di scopo” ovvero le finalità elencate dalla legge e che le specifiche intese devono perseguire ai fini della loro validità ed efficacia.

Come anticipato, le intese devono perseguire fini quali la maggiore occupazione, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, l’avvio di nuove attività.

In sostanza, l’accordo derogatorio può introdurre un trattamento differenziato per i lavoratori purché tale differenziazione sia giustificata dal perseguimento delle finalità legislativamente individuate e il giudice è chiamato a verificare se le deroghe alle norme di legge e di CCNL contenute nelle specifiche intese costituiscono il mezzo per raggiungere almeno uno dei fini indicati dal legislatore.

La giurisprudenza sul punto ha, inoltre, precisato che ai fini della validità di tali accordi non è sufficiente il mero richiamo in via generale alle finalità enunciate nel disposto normativo, ma è necessario che le parti contraenti indichino in maniera puntuale le finalità perseguite e le circostanze di fatto che giustificano il ricorso al regime derogatorio (Trib. di Firenze 528/2019 e C. App. Firenze 20 novembre 2017).

Sul corretto perseguimento delle finalità sopra indicate si è anche recentemente pronunciata la Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la legittimità di un accordo aziendale ex art. 8 L. 148/2011 che ha escluso il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso per coloro che non avessero aderito all’esodo incentivato, pur avendone i requisiti, e fossero destinatari di un provvedimento di licenziamento nella successiva procedura di mobilità.

Come evidenziato dai giudici di legittimità, l’accordo in questione può legittimamente derogare in peius i contratti collettivi e le disposizioni di legge circa le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (nella specie, il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso), purché persegua uno degli scopi previsti dalla legge: l’accordo del caso di specie, in una prospettiva di maggiore tutela dei lavoratori, era diretto a consentire il minor costo sociale dell’operazione e a salvaguardare la prosecuzione dell’attività di impresa e la relativa occupazione. La deroga, dunque, era stata introdotta proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale (Cass. 19660/2019).

In particolare sulla deroga della disciplina dei contratti a termine

Gli accordi di prossimità possono rivelarsi anche un ottimo alleato per liberarsi dalle strette maglie della disciplina dei contratti a termine introdotta dal Decreto dignità, in particolare con riferimento al regime delle causali, della durata massima e delle proroghe.

Una possibilità di deroga a tale disciplina è offerta proprio dall’art. 8, comma 2, secondo cui “le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento ai contratti a termine”.

L’art. 8 L. 148/2011, in altre parole, consente di mitigare il sistema delle causali, cosa che può avvenire introducendone altre, prevedendo un prolungamento del periodo di acausalità, eliminando l’obbligo di causale in determinati casi. Consente, ad esempio, anche di innalzare il limite di durata massima riportandolo ai 36 mesi previsti prima dell’ultima riforma o di incrementare il numero massimo di proroghe.

Resta fermo che anche tale opportunità va valutata tenendo conto dei limiti di utilizzo degli accordi di prossimità, facendo particolare attenzione sia ai vincoli di scopo (che vanno specificamente indicati nell’intesa e, in sede di eventuale contenzioso, provati) sia ai limiti imposti dalla Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali.

In particolare, la Direttiva 1999/70/CE – cha ha attuato l’accordo quadro sui contratti a tempo determinato del 18 marzo 1999 – impone agli stati membri, al fine di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, di introdurre una o più misure relative a:

  1. ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
  2. la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
  3. il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

Da ciò deriva che un accordo di prossimità non può disapplicare contestualmente tutte le misure sopra indicate, ma solo alcune, altrimenti sarebbe in contrasto con l’ordinamento comunitario.

Segue. Sulla deroga della disciplina della somministrazione di lavoro

Anche la disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato è stata oggetto di riforma con il Decreto dignità, con particolare riguardo al limite quantitativo del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno in cui il contratto è stato stipulato, al limite di durata (24 mesi) e all’obbligo di causale nell’ipotesi di durata superiore a 12 mesi (si veda sul punto il nostro approfondimento: Somministrazione di lavoro (II parte): la disciplina introdotta dal Decreto Dignità e alcune novità nell’emergenza Covid-19).

Per quanto riguarda il limite di durata, il Decreto dignità fa salve le diverse previsioni dei contratti collettivi (art. 19, comma 2 D.lgs 81/2015). Analogamente, in riferimento al limite quantitativo è fatta salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore (art. 31, D.lgs. 81/2015).

Un accordo collettivo “ordinario” non può, invece, derogare o modificare il regime delle causali di ricorso alla somministrazione di lavoro.

In tal caso è possibile ricorrere all’accordo di prossimità, considerato che tra le materie oggetto delle specifiche intese rientrano i “casi di ricorso alla somministrazione”.

Conclusioni

Gli accordi di prossimità costituiscono un valido strumento per i datori di lavoro in quanto consentono di adeguare alcuni istituti normativi e contrattuali alle condizioni e alle specifiche esigenze delle diverse realtà aziendali. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di derogare la rigida disciplina dei contratti a termine così come introdotta dal Decreto dignità.

Non vanno, tuttavia, trascurati i limiti imposti dal legislatore onde evitare pronunce di invalidità degli accordi in sede giudiziale.

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