La Corte Costituzionale interviene sul regime di tutela previsto per le piccole imprese dal decreto legislativo n. 23/2015 per i licenziamenti illegittimi intimati ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 (cd. tutele crescenti).
Già con la sentenza n. 183 del 2022, la Consulta aveva esaminato l’attuale assetto risarcitorio, segnalando l’urgenza di un intervento normativo. A distanza di tre anni, in assenza di iniziativa parlamentare, la Corte è intervenuta direttamente, sostituendosi al legislatore, in parziale accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Livorno con l’ordinanza del 29 novembre 2024.
Con la sentenza n. 118, depositata il 21 luglio scorso, la Corte costituzionale si è, infatti, pronunciata sulla legittimità dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015 il quale dispone che l’indennità risarcitoria per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori che non raggiungano i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 Stat. Lav. (i.e. più di 15 dipendenti per unità produttiva o per comune, o più di 60 sull’intero territorio nazionale), sia riconosciuta in misura dimezzata rispetto a quella prevista per le imprese di maggiori dimensioni e, in ogni caso, non possa superare il limite di sei mensilità.
Ad avviso della Consulta, l’imposizione di un tetto massimo di sei mensilità, «fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento», non consente al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, né è idonea ad «assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro».
La Corte ha, pertanto, accolto sul punto le osservazioni del Giudice rimettente, secondo cui la previsione in questione, in violazione del principio costituzionale di eguaglianza, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori dipendenti da imprese medio-grandi, destinatari sia della tutela reintegratoria che di quella indennitaria, quantificabile sino a trentasei mensilità.
Al contrario, è stato ritenuto lecito il meccanismo – parimenti censurato dal Tribunale toscano – del dimezzamento dell’indennità per le imprese «sottosoglia», in quanto modulabile all’interno di una forbice sufficientemente ampia, compresa tra un minimo di tre e un massimo di diciotto mensilità, che consente al giudice di adeguare il risarcimento alla specificità della vicenda concreta.
Da ultimo, il provvedimento contiene nuovamente l’auspicio di un intervento legislativo ispirato al principio secondo cui l’utilizzo esclusivo del numero di dipendenti quale parametro per differenziare il regime sanzionatorio non è più in grado da solo di riflettere la reale forza economica dell’impresa e la sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi. Ciò è particolarmente rilevante in un contesto produttivo profondamente cambiato, in cui anche le aziende di ridotte dimensioni possono disporre di consistenti capitali e alti livelli di fatturato.
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