Licenziamento disciplinare: si può licenziare per scarso rendimento?

Last Updated on Settembre 17, 2019

Di: Avv. Valentina Rovere

Lo scarso rendimento come giustificato motivo soggettivo di licenziamento

Forse non tutti sanno che, in Italia, il licenziamento per scarso rendimento esiste, seppure nell’ambito di alcuni specifici e determinati limiti.

Lo scarso rendimento consiste in un inadempimento del lavoratore alla sua obbligazione principale, che è quella di svolgere la prestazione lavorativa, e si configura, quindi, come un giustificato motivo soggettivo di licenziamento. La questione che si pone è la valutazione della gravità dell’inadempimento.

La giurisprudenza della Suprema Corte è tendenzialmente orientata nel senso di riconoscere allo scarso rendimento una valenza di carattere eminentemente soggettivo, in quanto indice di una prestazione inadeguata, in termini quantitativi e qualitativi, sotto il profilo del diligente adempimento degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro.

Il lavoratore è, infatti, tenuto a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie, svolgendo, nei tempi e nei modi stabiliti, la prestazione lavorativa richiesta secondo le disposizioni da quest’ultimo impartitegli e ad agire, ai sensi dell’art. 2104 c.c., con la diligenza richiesta «dalla natura della prestazione dovuta», ovvero con una diligenza c.d. qualificata, e non con quella media del buon padre di famiglia ex art. 1176 c.c. (Cass. 20 agosto 1991, n. 8973).  

In applicazione di tali principî, la giurisprudenza sostiene che «il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale non integra ex se l’inesatto adempimento (…) dato che, nonostante la previsione di minimi quantitativi, il lavoratore è obbligato ad un facere e non ad un risultato e l’inadeguatezza della prestazione resa può essere imputabile alla stessa organizzazione dell’impresa o, comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore» (Cass. 22 novembre 2016, n. 23735; Cass. 23 marzo 2017, n. 7522). Conseguentemente, il datore di lavoro che rivendichi la legittimità del recesso per scarso rendimento intimato al suo dipendente non può limitarsi a dedurre il mancato raggiungimento del risultato atteso (obiettivo minimo di produzione) e la sua oggettiva esigibilità: egli è onerato della dimostrazione di un notevole inadempimento che discende da una valutazione complessa la quale involge il grado di diligenza richiesto dalla prestazione, quello usato dal lavoratore e l’esclusione della rilevanza di fattori inerenti all’organizzazione di impresa, nonché di fattori socio-ambientali (v. anche Cass. 10 novembre 2017, n. 26676). 

Gli elementi per la sussistenza dello scarso rendimento

Quindi, in altre parole, lo scarso rendimento rileva nell’ambito del licenziamento per motivo soggettivo se frutto di negligenza del prestatore di lavoro.

Per poter legittimamente licenziare un lavoratore per scarso rendimento, è, pertanto, necessaria la contemporanea sussistenza di due presupposti che, in caso di contestazione, devono essere dimostrati in giudizio dal datore di lavoro.

a) Il licenziamento deve, innanzitutto, fondarsi su un elemento di carattere oggettivo, vale a dire l’esistenza di una notevole sproporzione tra i risultati conseguiti e gli obiettivi assegnati. Tuttavia, la valutazione di tale aspetto non deve essere effettuata in astratto, bensì utilizzando quale parametro un rendimento concretamente esigibile, che tenga conto del rendimento medio registrato da altri dipendenti in analoghe funzioni. 

b) In secondo luogo, è necessario che la sproporzione tra i risultati attesi e quelli conseguiti sia imputabile al lavoratore, ovverosia frutto di un colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sul lavoratore e non sia, invece, ascrivibile all’organizzazione del lavoro o ad altri fattori (Cass. 19 settembre 2016, n. 18317; Cass. 26 aprile 2016, n. 8249; Trib. Roma 12 marzo 2018, n. 1885; Trib. Milano 30 maggio 2016).

La giurisprudenza rileva, altresì, che lo scarso rendimento non possa essere di per sé dimostrato dai plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, a meno che non se ne dimostri la nuova e diversa incidenza sull’organizzazione di lavoro, apprezzando il fenomeno nella sua dimensione collettiva e accertando lo specifico disvalore che i risultati negativi della prestazione producono complessivamente sull’attività di impresa.

Diversamente, lo stesso fatto rilevante disciplinarmente diverrebbe oggetto di una doppia sanzione della stessa violazione dell’obbligo di diligente collaborazione, così incorrendo nella sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite (v. Cass. 14 febbraio 2017, n. 3855; Cass. 23 marzo 2017, n. 7522; Cass. 11 ottobre 2016, n. 20429; Cass. 5 agosto 2015, n. 16472). 

È un licenziamento disciplinare e va seguita la procedura

Trattandosi di licenziamento per motivo soggettivo, il datore di lavoro dovrà intimare lo stesso nel rispetto della procedura prevista dall’art. 7 l. 300/1970, e quindi previa specifica e dettagliata contestazione per iscritto dell’addebito, con concessione del termine a difesa per valutare le eventuali giustificazioni del lavoratore e, solo all’esito di ciò, comunicare per iscritto il licenziamento, nel rispetto dell’eventuale termine previsto dal contratto collettivo applicato.

Lo scarso rendimento come giustificato motivo oggettivo di licenziamento (orientamento minoritario)

Non mancano, tuttavia, alcune pronunce che, a determinate condizioni, riconducono il licenziamento per scarso rendimento nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non ritenendo, quindi, necessario l’accertamento di una specifica responsabilità del lavoratore. 

Ciò si verifica allorché, a prescindere dalla ricorrenza di un inadempimento imputabile, la prestazione di lavoro risulti essere oggettivamente non più utile per il datore di lavoro o sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società, incidendo negativamente sulla produzione aziendale (Cass. 22 novembre 1996, n. 10286. Si vedano anche: Cass. 14 luglio 2005, n. 14815; Cass. 7 marzo 2005, n. 4827; Cass. 4 novembre 2004, n. 21121).  

Lo scarso rendimento, quale motivo economico di recesso, fa quindi riferimento al concetto di inadempimento contrattuale inteso come inidoneità del lavoratore allo svolgimento della prestazione. Autorevole dottrina si è più volte espressa sul punto (M. Marazza, “Lavoro rendimento”, in ADL2/2004; P. Ichino, “Sullo scarso rendimento come fattispecie anfibia, suscettibile di costituire al tempo stesso giustificato motivo oggettivo e soggettivo di licenziamento”, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, p. 695) richiamando il c.d. «firing cost» ovvero la valutazione tra il costo relativo al mantenimento in servizio del dipendente ed il suo rendimento (cioè la sua produttività per l’azienda in termini di reddito) ed il costo «to fire» per il licenziamento, comprensivo anche dell’eventuale alea di un giudizio negativo.

Tuttavia, la carenza di prova della sostanziale inutilizzabilità del lavoratore nella organizzazione aziendale è fondamentale perché, in assenza di questa, il rischio è che il licenziamento venga ritenuto ontologicamente disciplinare e illegittimo sia perché privo dei requisiti formali (rispetto della procedura disciplinare) sia per assenza dei presupposti concreti (prova della negligenza del lavoratore).

L’assenteismo tattico o assenze a “macchia di leopardo”: la pronuncia della Cassazione del 2014

Sulla scorta di tali principî, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato a carico di un lavoratore che, pur senza superare il periodo di comporto, aveva collezionato numerose assenze “a macchia di leopardo”, di breve durata ma reiterate e costantemente “agganciate” ai giorni di riposo, verificatesi quindi con modalità tali da incidere negativamente sull’attività produttiva e sull’organizzazione del lavoro, e dando luogo a scompensi organizzativi anche gravi (Cass. 4 settembre 2014, n. 18678; App. Roma 4301/2017). 

Ciò accade, per esempio, nelle ipotesi in cui l’attività oggetto dell’impresa consista nella resa di servizi organizzati su più turni giornalieri in cui le assenze determinino gravi disagi all’organizzazione aziendale (Trib. Milano 10 gennaio 2015, n. 2015), costringendo l’azienda alla sostituzione improvvisa del lavoratore con altri colleghi, richiedendo anche a questi prestazioni straordinarie o spostamenti dei permessi e dei riposi, e non riuscendo l’azienda, talvolta, a garantire il servizio pure con siffatti espedienti.

Malattia e superamento del periodo di comporto

Tuttavia, a parte la sentenza della Cassazione del 2014 sopra menzionata ed alcune altre di merito, gli ermellini hanno rilevato, con ulteriori e successive pronunce, che laddove lo scarso rendimento sia conseguenza della eccessiva morbilità, la specialità della disciplina di cui all’art. 2110 c.c. non consenta al datore di lavoro di recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza. 

Non è dunque consentito al datore licenziare il dipendente in ragione della sopravvenuta inutilità della prestazione per la protratta assenza per malattia, essendo egli obbligato ad attendere il superamento del termine di comporto (in tal senso, si veda Cass. 13 giugno 2018, n. 15523; Cass., ord. 8 maggio 2018, n. 10963; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1404; Cass. 28 gennaio 2010, n. 1861). Tale orientamento ha ricevuto un ulteriore avallo dalla sentenza di Cass. Sez. Un. 22 maggio 2018, n. 12568 che ha statuito che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo di comporto, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110 comma 2 c.c.

Il rendimento può essere un criterio di scelta?

Si, con la sentenza del 7 dicembre 2016, n. 25192, la Suprema Corte ha affermato che in caso di licenziamento per ragioni oggettive, il criterio della minore produttività possa essere legittimamente utilizzato ai fini della scelta del lavoratore da licenziare tra i vari che svolgono le medesime mansioni. 

La procedura ex art. 7 legge 604/1966 per i lavoratori assunti prima del Jobs Act

Nel ricondurre il licenziamento per scarso rendimento nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro (qualora la soglia dimensionale dell’impresa superi i 15 dipendenti) dovrà preliminarmente esperire la procedura di cui all’art. 7, legge 604/1966 per il tentativo di conciliazione avanti alla Commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente. 

La suddetta procedura, abrogata dal Jobs Act (D.lgs. 23/2015) andrà applicata solo ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015. Invece, per i dipendenti assunti dopo tale data così come per i dipendenti assunti nelle imprese al di sotto della soglia dimensionale di cui all’art. 18 l. 300/1970, sarà possibile procedere direttamente con la comunicazione di recesso.

Per un’analisi comparata, si veda Law Maps™

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