Non è discriminatorio il licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto

Un tema spesso trattato dalla giurisprudenza di merito è quello della computabilità (o meno) nel periodo di comporto delle assenze per malattia riconducibili all’invalidità del dipendente.

In un contesto di grande incertezza si distinguono alcune recenti pronunce di merito che, sulla base di un ragionamento chiaro ed equilibrato, escludono la discriminazione indiretta nella scelta del datore di computare nel periodo di comporto anche le assenze legate alla disabilità del lavoratore.

L’ordinamento offre numerose cautele che assistono il rapporto di lavoro dei soggetti disabili e che ne favoriscono l’inserimento lavorativo in un’ottica solidaristica. Pertanto, la mera riferibilità dell’assenza alla patologia e/o all’invalidità del dipendente non è condizione sufficiente al fine di escludere il conteggio delle relative giornate di assenza dal computo complessivo del periodo di comporto.

Vediamo nel dettaglio le recenti pronunce in materia.

Tribunale di Vicenza 26/04/2022: il caso 

Un’operatrice socio-sanitaria affetta da endometriosi con percentuale di invalidità pari al 35% veniva licenziata per superamento del periodo di comporto. 

Nel computo del comporto l’azienda datrice di lavoro aveva incluso anche i giorni di assenza per malattia legata al suo handicap, scelta censurata dalla dipendente come discriminatoria. 

In sostanza la lavoratrice sosteneva che, essendo vietate le discriminazioni per handicap e dovendo il datore di lavoro adottare gli “accomodamenti ragionevoli” volti a garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori (ex art. 3 comma 3-bis del D.lgs 216/2003), la società avrebbe dovuto escludere dal comporto i 151 giorni di assenza per endometriosi. 

A detta della dipendente, applicare indistintamente lo stesso periodo di comporto previsto dal CCNL a tutti i lavoratori, sia a quelli affetti da malattie riconducibili alla nozione di handicap, sia a quelli non afflitti da disabilità (malattia c.d. comune) costituisce una discriminazione indiretta in quanto finisce per applicare il medesimo trattamento a situazioni che richiederebbero un trattamento differenziato; un soggetto portatore di handicap ha più facilità di altri lavoratori a superare il periodo massimo di comporto a causa delle assenze riconducibili alla sua malattia, trovandosi, quindi, in una chiara situazione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori. 

La decisione del Tribunale di Vicenza

Il giudice di merito ha ritenuto che la tesi sostenuta dalla lavoratrice sulla natura discriminatoria del licenziamento per ragioni di handicap non sia condivisibile. I principi espressi, infatti, devono essere contestualizzati, tenuto conto degli aspetti peculiari del caso in esame e del margine più o meno ampio di apprezzamento lasciato agli Stati membri nel raggiungimento dello scopo della direttiva 2000/78/CE e nella definizione delle misure atte a realizzarlo.

A fronte di una normativa nazionale o di una condotta datoriale che non prevedano loscomputo dal comporto dei giorni di malattia dovuti alla disabilità spetta sempre al giudice nazionale verificare:

  1. se il datore di lavoro non abbia previamente messo in atto, nei confronti di tale lavoratore, soluzioni ragionevoli al fine di garantire il rispetto del principio di parità di trattamento
  • la legittimità della finalità perseguita dalla normativa interna, ovvero che i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e che essi non vadano oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore.

Sulla base di questi principi il giudice di merito nel caso in esame ha rilevato che:

  1. il datore ha predisposto numerosi accomodamenti ragionevoli a favore della lavoratrice quali l’aver adempiuto alla periodica sottoposizione della stessa alle visite mediche di controllo e l’averla informata circa i giorni di malattia di cui aveva già usufruito e il limite massimo del periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva;
  • la nozione di disabilità introdotta dalla direttiva comunitaria non prevede una tutela assoluta in favore del soggetto disabile, dovendosi salvaguardare il bilanciamento degli interessi contrapposti: da un lato l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro adeguato al suo stato di salute e dall’altro l’interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l’impresa. La stessa direttiva 2000/78/CE, al Suo considerando 17, “non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione”. L’interesse del lavoratore disabile a conservare il posto di lavoro deve essere contemperato con quello del datore di lavoro: se assolutizzato, infatti, verrebbe compresso (e quindi compromesso) il potere datoriale di recedere dal contratto di lavoro di un dipendente disabile;
  •  il CCNL in questione prevede un rilevante periodo di comporto ed espunge dal calcolo del comporto i ricoveri ospedalieri e le visite mediche determinate da patologie gravi che richiedono terapia salvavita o temporaneamente invalidanti. 

In sostanza, il Tribunale di Vicenza ritiene che, a fronte del perseguimento della legittima finalità di bilanciamento dei due interessi, il mezzo utilizzato (ovvero la scelta di includere nel comporto i giorni di assenza per malattia legata all’handicapsia appropriato e proporzionato (Trib. di Vicenza 26/04/2022).

Un’altra recente pronuncia

Sulla medesima questione si è pronunciata di recente anche la Corte d’Appello di Palermo secondo cui la tesi del carattere discriminatorio del licenziamento per superamento del comporto del disabile è superata in considerazione “delle numerose cautele che assistono il rapporto di lavoro dei soggetti disabili e che ne favoriscono l’inserimento lavorativo in un’ottica solidaristica, secondo una disciplina che impone al datore di lavoro un serie di oneri aggiuntivi, rispetto ai lavoratori non disabili, diretti a consentire l’espletamento della prestazione lavorativa dell’invalido in modo compatibile con il suo stato di disabilità” (C. App. di Palermo 111/2022). 

Dunque, non è possibile rinvenire nella parità di disciplina del comporto, tra disabili e non, alcun elemento di discriminazione, sul presupposto che, ove risultino osservate le disposizioni in materia di assunzioni obbligatorie, la prestazione resa dal disabile è adeguata alle sue capacità lavorative, allo stesso modo di qualsiasi altro lavoratore non affetto da disabilità.

Inoltre, come osservato dalla Suprema Corte, “alla stregua della L. n. 482 del 1968, art. 10, comma 1 (sulla disciplina generale delle assunzioni obbligatorie), il quale stabilisce l’applicabilità agli assunti in quota obbligatoria del normale trattamento economico e giuridico, è da escludere la detraibilità dal periodo di comporto delle assenze determinate da malattia ricollegabile allo stato di invalidità” (Cass. 2302/1990).

Pertanto, una volta assolto l’obbligo di garanzia della salubrità delle condizioni di lavoro rapportate, in termini di correttezza e ragionevolezza, alle particolari condizioni di salute del disabile assunto come invalido civile, nessuna diversità di trattamento tra soggetti invalidi e soggetti non affetti da disabilità è più consentita, quanto alla determinazione del periodo di comporto.

In conclusione, di discriminazione può parlarsi solo quando si configuri un trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, mentre nel caso in esame qualunque lavoratore sarebbe stato licenziato nella medesima situazione (Cass. 21377/2016).

Conclusioni

Le recenti pronunce esaminate offrono un quadro chiaro della questione della computabilità nel periodo di comporto anche delle assenze legate all’handicap del lavoratore. 

L’ordinamento offre numerose cautele che assistono il rapporto di lavoro dei soggetti disabili ed è necessario il bilanciamento tra l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro adeguato al suo stato di salute e l’interesse del datore a una prestazione lavorativa utile per l’impresa. 

Pertanto, non è configurabile una discriminazione per handicap nella scelta datoriale di computare nel periodo di comporto anche le assenze dovute a malattia del disabile.

Di: Avv. Wanda Falco

Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it
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