Last Updated on Maggio 19, 2023
Nell’UE le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13% in meno degli uomini. Questo è il punto di partenza della Direttiva (UE) 2023/970 volta a sancire il diritto alla parità di retribuzione tra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro o lavori di pari valore (v. anche il nostro articolo «Parità retributiva e Trasparenza salariale: in arrivo la Direttiva Europea» del 06.03.2023).
Obiettivo dell’Unione Europea non è incidere sui sistemi nazionali già esistenti per la determinazione dei salari – che possono, dunque, continuare a essere diversi – ma garantire che le imprese assicurino la parità salariale di genere attraverso la trasparenza dei criteri di determinazione delle retribuzioni.
Il provvedimento si applica a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, a tutti i lavoratori nonché ai candidati in fase preassuntiva.
Gli Stati membri devono recepire le nuove regole entro il 7 giugno 2026.
Trasparenza retributiva
La Direttiva sancisce, innanzitutto, l’obbligo per le imprese di rendere facilmente accessibili ai propri lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica, che dovranno in ogni caso essere neutri rispetto al genere.
Inoltre, già nella fase di selezione del personale, è riconosciuto ai candidati il diritto di ricevere informazioni sulla retribuzione di ingresso e di non rivelare il trattamento economico già percepito dagli stessi presso l’attuale o i precedenti datori di lavoro.
In costanza di rapporto, invece, i lavoratori (personalmente, attraverso i loro rappresentanti o tramite un organismo di parità) possono chiedere (e hanno diritto di ricevere, entro 2 mesi dalla richiesta) informazioni sul loro livello retributivo nonché sulla retribuzione media percepita dai colleghi che svolgono prestazioni analoghe o di pari valore, suddivise per genere di appartenenza. Di tale diritto e delle relative modalità di esercizio, il datore deve informare annualmente il proprio personale.
In ogni caso, non può essere inibito ai prestatori di lavoro di divulgare le informazioni sul trattamento salariale loro applicato ai fini dell’attuazione del principio della parità di retribuzione (c.d. divieto di segreto salariale).
Gli Stati membri devono, altresì, provvedere affinché le imprese rendano disponibili ad un’autorità ad hoc le informazioni sul divario retributivo di genere. Tali informazioni, salva diversa previsione interna, dovranno essere fornite entro il 7 giugno 2027, dalle imprese con almeno 150 lavoratori, ed entro il 7 giugno 2031, da quelle che ne occupano tra 100 e 149. Siffatti dati possono essere, comunque, trasmessi su base volontaria per i datori di lavoro con meno di 100 lavoratori.
Inoltre, con specifico riferimento alle sole informazioni sul divario retributivo di genere individuato per categorie di lavoratori e ripartito in base alle componenti fisse e variabili del salario, è disposto che debbano essere fornite dal datore di lavoro a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti e trasmesse, su richiesta, all’Ispettorato del lavoro e agli organismi di parità. Tali soggetti possono richiedere alle imprese chiarimenti e/o integrazioni nonché di adottare, se del caso, le opportune misure correttive, qualora le eventuali differenze salariali non siano giustificate da criteri oggettivi.
È, infine, previsto che, in presenza di un immotivato divario medio retributivo di genere pari o superiore al 5%, il datore cooperi fattivamente con le organizzazioni sindacali al fine di individuare i rimedi necessari.
Tutele
La Direttiva introduce anche misure volte a garantire la tutela effettiva contro le discriminazioni retributive nella misura in cui:
- amplia il novero dei soggetti che possono far valere in sede amministrativa o giudiziale le eventuali violazioni del principio di parità retributiva, includendovi non solo i lavoratori che si ritengano lesi ma anche i loro rappresentanti sindacali, le associazioni e gli organismi di parità;
- introduce un meccanismo probatorio agevolato secondo cui è il datore di lavoro a dover dimostrare in giudizio l’inesistenza della recriminata violazione, purché il lavoratore adduca elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che sia stata realizzata una condotta discriminatoria;
- riconosce ai lavoratori che abbiano subìto una discriminazione salariale a causa del proprio sesso, il risarcimento integrale del danno, comprensivo di differenze retributive (inclusi bonus e benefit in natura), danni immateriali e interessi di mora;
- impone agli Stati Membri di adottare specifiche sanzioni efficaci, proporzionate e realmente dissuasive in caso di violazione delle regole sulla parità salariale.
È, altresì, stabilito che i lavoratori e i loro rappresentanti che esercitino i diritti sanciti dalla Direttiva non possano essere discriminati, licenziati né subire altro trattamento ritorsivo.
In Italia
Il nostro Paese sembra essere già parzialmente in linea con le nuove previsioni comunitarie, considerato che la Legge n. 162/2021 sulla parità salariale (v. la nostra newsflash «Legge sulla parità salariale» del 19.11.2021) ha già previsto:
- l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di redigere e inviare alle autorità competenti, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile che include anche dati retributivi;
- la legittimazione ad agire non solo dei lavoratori ma anche dei consiglieri di parità e l’applicazione di un regime probatorio agevolato;
- l’istituzione della certificazione della parità di genere (cd. bollino rosa) che attesta le misure adottate dai datori per ridurre il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne.
In ogni caso, il nuovo provvedimento contiene delle novità che dovranno essere recepite nel nostro ordinamento. L’importanza dei principî di parità retributiva e trasparenza salariale si coglie anche nell’acronimo ESG (Environmental, Social e Governance) ovvero l’impegno a tutela dell’ambiente, il rispetto dei diritti umani e sociali e la trasparenza nell’attività di amministrazione e di governo aziendale, fattori che evidentemente richiedono l’adozione da parte delle imprese di misure volte a garantire anche un trattamento economico trasparente e pari opportunità tra uomini e donne.
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