Art. 4 St. lav.: focus su una recente sentenza della Cassazione in tema di “sopravvivenza” dei controlli difensivi

Last Updated on Maggio 13, 2022

Di recente la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi su una questione piuttosto dibattuta che è quella concernente la portata e l’eventuale sopravvivenza dei c.d. controlli difensivianche dopo la riforma dell’art. 4 St. lav. avvenuta con il Jobs Act.

Si tratta, infatti, di una fattispecie di creazione giurisprudenziale elaborata nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 4 per consentire dei controlli miranti alla protezione del patrimonio aziendale da atti illeciti, anche al di fuori dei limiti statutari. Una fattispecie che sembrava essere ormai superata con la riforma del 2015, avendo questa inserito nella norma, al comma 1, l’espresso riferimento alle esigenze di tutela del patrimonio aziendale (come vedremo più dettagliatamente nei paragrafi seguenti, infatti, anche i controlli aventi ad oggetto il patrimonio aziendale sono assoggettati agli obblighi procedurali previsti dall’art. 4 St. lav.).

Nel presente approfondimento, pertanto, esamineremo i contenuti della sentenza Cass. 22/09/2021 n. 25732 – che si è pronunciata a favore della sopravvivenza dei controlli difensivi – e gli aspetti cui bisogna prestare attenzione alla luce di questo inedito orientamento giurisprudenziale.

Per una disamina dettagliata delle novità apportate alla disciplina dei controlli a distanza e di come tale disciplina si intrecci con quella in materia di privacy, si veda il nostro approfondimento “Il nuovo art. 4 St. lav.: tra strumenti di lavoro e privacy”. 

Vecchio art. 4 St. lav. e controlli difensivi

La vecchia formulazione dell’art. 4 St. lav. prevedeva un divieto assoluto di uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. In presenza di esigenze oggettive dell’impresa (esigenze organizzative e produttive e sicurezza del lavoro) la medesima norma imponeva l’attuazione del controllo con l’osservanza di determinate “procedure di garanzia” (accordo sindacale o autorizzazione amministrativa). 

Bisognava, dunque, capire se l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale potesse esonerare il datore di lavoro, intenzionato ad installare apparecchiature di controllo a distanza, dall’obbligo di raggiungere l’accordo sindacale o di conseguire l’autorizzazione amministrativa. 

Sul punto si è più volte espressa la giurisprudenza: secondo l’orientamento prevalente il datore di lavoro è legittimato a proteggere il proprio patrimonio da attacchi esterni e tale diritto non può subire compressione a fronte di eventuali attacchi provenienti dall’interno ovvero da parte dei dipendenti. 

È stata, quindi, elaborata la categoria dei c.d. controlli difensivi ovvero quei controlli che non hanno ad oggetto l’attività lavorativa in senso stretto, essendo diretti ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale; tali controlli esulano dall’ambito di applicazione del vecchio art. 4, comma 2, St. lav. e non richiedono l’osservanza delle garanzie ivi previste a condizione che: 

  1. l’iniziativa datoriale abbia la finalità specifica di accertare determinati comportamenti illeciti del lavoratore 
  2. gli illeciti da accertare siano lesivi del patrimonio o dell’immagine aziendale. (Cass. 13266/2018; Cass. 10637/2017; Cass. 10955/2015).

Sebbene i controlli difensivi siano sottratti all’area di operatività dell’originaria versione dell’art. 4 St. lav., è sempre stato chiaro nella giurisprudenza che essi non possono comunque essere svolti liberamente dal datore di lavoro al di fuori di regole di civiltà e di criteri ragionevoli volti a garantire un adeguato bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della dignità e riservatezza del dipendente e quelle di protezione dei beni aziendali (Cass. 13266/2018). In sostanza, secondo questa giurisprudenza i requisiti di legittimi controlli difensivi sono:

  • l’impossibilità di eseguirli senza il rispetto dei canoni di buona fede e correttezza
  • il rispetto della dignità e della riservatezza dei lavoratori.

L’art. 4 St. lav. post Jobs Act

La nuova formulazione dell’art. 4 St. lav. ribadisce implicitamente la regola che il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori non è legittimo ove non sorretto dalle esigenze indicate dalla norma stessa. Pertanto, il controllo diretto ad accertare inadempimenti del lavoratore che attengano alla esecuzione della prestazione continua ad essere vietato. Ciò non esclude, però, che ove il controllo sia invece legittimo, le informazioni raccolte in esito ad esso possano essere utilizzate dal datore di lavoro per contestare al lavoratore ogni sorta di inadempimento contrattuale. 

Va subito evidenziato, a tale riguardo, che anche i controlli aventi ad oggetto il patrimonio aziendale sono, ai sensi della nuova versione dell’art. 4 St. Lav., assoggettati ai presupposti di legittimità ivi previsti. 

Si è posta, pertanto, la questione se i controlli difensivi debbano oramai ritenersi completamente attratti nell’area di operatività dell’art. 4 St. lav., avendo il legislatore indicato, tra le esigenze da soddisfare mediante l’impiego dei dispositivi potenzialmente fonte di controllo, quelle di “tutela del patrimonio aziendale” accanto a quelle organizzative e produttive e a quelle relative alla sicurezza del lavoro.

Una pronuncia del Tribunale di Roma del 2018, ricognitiva delle novità introdotte dal Jobs Act, ha sostenuto che nel nuovo testo dell’art. 4 non è più vietato, in termini assoluti, effettuare controlli a distanza sui lavoratori, sicché non appare più necessario appellarsi a finalità difensive per superare un divieto totalitario di controllo a distanza che non esiste più. “Il lavoratore può ben essere controllato con mezzi a distanza, ma alle seguenti condizioni cumulative: a) l’impianto deve essere stato previamente autorizzato con accordo sindacale o dall’INL; b) l’impianto deve avere una o più delle finalità (diverse da quelle di controllare i lavoratori) previste dal primo comma del citato articolo; c) il datore deve aver previamente informato il lavoratore che l’impianto è stato installato e che si potranno esperire controlli; d) il controllo deve essere esperito in conformità al Codice della privacy, secondo i principi di trasparenza, scopo legittimo e determinato e non invasività” (Trib. di Roma n. 57668/2018).

Sulla questione si è recentemente pronunciata anche la Cassazione che, al contrario, ha sostenuto la sopravvivenza dei controlli difensivi. In particolare, i giudici di legittimità hanno introdotto la distinzione tra controlli difensivi in senso lato e controlli difensivi in senso stretto (Cass. 25732/2021 e Cass. 34092/2021 cui poi si è adeguata anche la giurisprudenza di merito v. Trib. di Genova, 14/12/2021).

Occorre, in altre parole, distinguere tra:

  1. controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio: tali controlli dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni del nuovo art. 4;
  2. controlli difensivi in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti, anche se queste si verificano durante la prestazione di lavoro: tali controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, si situano, anche oggi, all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4. 

L’istituzionalizzazione della procedura richiesta dall’art. 4 per l’installazione dell’impianto di controllo sarebbe, infatti, coerente con la necessità di consentire un controllo sindacale, e, nel caso amministrativo, un controllo su scelte che riguardano l’organizzazione dell’impresa; meno senso avrebbe l’applicazione della stessa procedura anche nel caso di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore (Cass. 25732/2021). 

Questa pronuncia, dunque, si pone in contrasto con i primi commenti post riforma secondo i quali i controlli difensivi erano stati assorbiti nella nuova formulazione dell’art. 4: la sentenza in commento, invece, sostiene che residua un’area di controlli difensivi leciti non soggetti alle condizioni di cui all’art. 4, comma 1, l. 300/70.

Ciò, naturalmente, non vuol dire che il datore di lavoro, in presenza di un sospetto di attività illecita, possa controllare liberamente il lavoratore: in nessun caso può essere giustificato un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore.

La sentenza di legittimità appena citata, infatti, specifica che “occorrerà, nel rispetto della normativa europea e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea, assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto”.

Il controllo difensivo in senso stretto, inoltre, deve essere mirato, nonché attuato ex postossia a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto. Può, quindi, parlarsi di controllo ex post solo ove, a seguito del fondato sospetto del datore circa la commissione di illeciti ad opera del lavoratore, il datore stesso provveda, da quel momentoalla raccolta delle informazioni.

In sintesi, la Suprema Corte ha chiarito che se è vero che i controlli diretti ad accertare fatti illeciti commessi da singoli dipendenti sono estranei ai vincoli e alle strette maglie del nuovo art. 4 St. lav., è altrettanto vero che affinché siano leciti è necessario che:

  • sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e le tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore (ciò avviene mediante l’adempimento dell’obbligo informativo da parte del datore e il rispetto del Codice della privacy);
  • il controllo muova da un fondato sospetto;
  • il controllo sia ex post rispetto all’insorgere del sospetto.

Conclusioni

La recente sentenza della Suprema Corte, pronunciatasi sulla portata e l’eventuale sopravvivenza dei c.d. controlli difensivi anche dopo la riforma della disciplina dei controlli a distanza, costituisce sicuramente un precedente da non trascurare.

La fattispecie di creazione giurisprudenziale, elaborata durante la vigenza della vecchia formulazione dell’art. 4 e che sembrava essere ormai superata con il Jobs Act, in realtà sopravvive nella veste del controllo difensivo in senso stretto, che continua a sottrarsi alla disciplina dell’art. 4.

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