Gender equality. La strategia UE per la parità di genere.

Nonostante le disparità ancora esistenti, negli ultimi decenni l’Unione europea ha compiuto notevoli progressi in materia di parità di genere con importante impatto positivo in termini di maggior numero di donne nel mercato del lavoro e di progressi nell’acquisizione di una migliore istruzione e formazione.

Le disparità di genere, tuttavia, persistono e nel mercato del lavoro le donne continuano a essere sovra-rappresentate nei settori scarsamente retribuiti e sotto-rappresentate nelle posizioni con responsabilità decisionali.

Infatti, i principali obiettivi della strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025 sono:

  • porre fine alla violenza di genere e combattere gli stereotipi;
  • colmare il divario di genere nel mercato del lavoro;
  • far fronte al problema del divario retributivo e pensionistico fra uomini e donne;
  • conseguire l’equilibrio di genere nei processi decisionali e nella politica.

Tra i primi risultati della strategia si segnalano la direttiva sulla parità retributiva e la trasparenza salariale e la direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate. Ruolo fondamentale, come vedremo, è svolto anche dalla direttiva CSRD sulla rendicontazione di sostenibilità il cui nucleo centrale è costituito anche dalla parità retributiva e dall’equilibrio di genere nei C.d.A.

Vediamo insieme di cosa si tratta.

Il gender-pay gap e la direttiva sulla parità retributiva

Il divario retributivo di genere nell’UE si è attestato al 13% nel 2020 ed è causato da vari fattori quali gli stereotipi di genere e la durata più breve della vita lavorativa delle donne che tendenzialmente subisce interruzioni più frequenti dovute anche a una diseguale distribuzione delle responsabilità di cura e assistenza familiare.

A ciò si aggiunga la segregazione fra posizioni professionali ovvero la maggiore presenza delle donne in settori dove le retribuzioni sono inferiori e dove anche il ruolo della contrattazione collettiva appare meno rilevante, come il settore del lavoro domestico e di caring in senso ampio in cui si colloca una quota importante dell’impiego femminile.

È questo il punto di partenza della direttiva 2023/970, nota come direttiva sulla parità retributiva e la trasparenza salariale, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 2026.

Come si evince dai considerando della direttiva, uno strumento importante per contrastare la discriminazione retributiva è la trasparenza retributiva prima dell’assunzione. Infatti, la direttiva impone che già nella fase di selezione del personale sia riconosciuto ai candidati il diritto di ricevere informazioni sulla retribuzione di ingresso e di non rivelare il trattamento economico già percepito presso l’attuale o i precedenti datori di lavoro.

Nella fase di svolgimento del rapporto, invece, i datori di lavoro dovranno:

  1. rendere facilmente accessibili ai lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e i criteri di progressione che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere;
  2. fornire le informazioni richieste dai lavoratori, anche tramite i loro rappresentanti o un organismo di parità, relative non solo al loro livello retributivo, ma anche ai livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore; di tale diritto e delle relative modalità di esercizio il datore deve informare annualmente il proprio personale;
  3. rendere disponibili ad un’autorità nazionale competente le informazioni sul divario retributivo di genere; tali informazioni dovranno essere fornite entro il 7 giugno 2027 dalle imprese con almeno 150 lavoratori ed entro il 7 giugno 2031 da quelle che ne occupano tra 100 e 149, mentre potranno essere fornite su base volontaria dai datori di lavoro con meno di 100 lavoratori;
  4. in presenza di un immotivato divario medio retributivo di genere pari o superiore al 5%, emerso dalla comunicazione delle informazioni sulle retribuzioni e non corretto entro sei mesi, svolgere una valutazione congiunta con le organizzazioni sindacali al fine di individuare i rimedi necessari.
Le «quote rosa» nei C.d.A. e la direttiva women on boards

Da decenni gli Stati membri e le istituzioni dell’UE si impegnano per rafforzare la presenza femminile anche nei consigli di amministrazione delle società, adottando raccomandazioni e incoraggiando l’auto-regolamentazione.

Tuttavia, le iniziative di auto-regolamentazione non hanno prodotto cambiamenti significativi e, in generale, i progressi verso una maggiore percentuale di donne nei consigli delle società sono stati molto lenti: secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, infatti, nel 2021 le donne rappresentavano in media il 30,6% dei membri dei consigli delle più grandi società quotate e solo l’8,5% dei presidenti.

I progressi più significativi si sono registrati negli Stati membri in cui sono state introdotte misure vincolanti, ragion per cui è stata adottata la direttiva 2022/2381 (c.d. Women on boards) che dovrà essere recepita dall’Italia entro il 2024.

La direttiva mira a garantire una rappresentanza di genere più equilibrata nei consigli di amministrazione delle società quotate al fine di promuovere la parità di genere nei processi decisionali e infrangere le barriere che impediscono alle donne di raggiungere posizioni di dirigenza, garantendo in tal modo anche la competitività dell’Unione in un’economia globalizzata.

Numerosi studi hanno, infatti, dimostrato che la diversità all’interno degli organi direttivi delle società, che rispecchiano meglio le realtà sociali e le esigenze dei consumatori, porta a un modello aziendale più proattivo, a decisioni più equilibrate e a migliori standard professionali.

È dimostrato, inoltre, che esiste una relazione positiva fra la diversità di genere a livello di alta dirigenza e i risultati finanziari e la redditività d’impresa, il che determina una considerevole crescita sostenibile a lungo termine.

Passando a una panoramica dei contenuti della direttiva n. 2022/2381 evidenziamo che sono escluse dal suo ambito di applicazione le micro, piccole e medie imprese (PMI) definite come «società che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro».

Dunque, solo le società quotate di grandi dimensioni entro il 30 giugno 2026 dovranno conseguire uno dei seguenti obiettivi:

  • gli appartenenti al sesso sotto-rappresentato dovranno occupare almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi;
  • gli appartenenti al sesso sotto-rappresentato dovranno occupare almeno il 33% di tutte le posizioni da amministratore, nel caso in cui gli Stati scelgano di applicare le nuove norme agli amministratori con e senza incarichi esecutivi.

Sempre nell’ottica della trasparenza, è previsto che le imprese una volta all’anno forniscano alle autorità competenti informazioni sulla rappresentanza di genere nei loro consigli e sulle misure adottate per conseguire gli obiettivi. Tali informazioni dovranno essere pubblicate anche sul sito web della società.

ESG e la rendicontazione di sostenibilità

Le tematiche finora affrontate, come la parità retributiva e l’equilibrio di genere nei CDA, integrano il nucleo centrale della rendicontazione di sostenibilità, oggetto della recente direttiva 2022/2464 (c.d. CSRD, Corporate Sustainability Reporting Standard Directive) che dovrà essere recepita dall’Italia nel corso del 2024.

La direttiva estende a migliaia di imprese l’obbligo di redigere una rendicontazione di sostenibilità e di divulgare informazioni sui temi ESG, in termini di impatto ambientale, diritti umani e sociali e aspetti di governance. In particolare, le società dovranno riferire sia in merito all’impatto delle proprie attività sulla società e sull’ambiente sia in merito al modo in cui le questioni di sostenibilità incidono sullo sviluppo e sulle performance aziendali (c.d. principio di doppia materialità o doppia rilevanza).

Le imprese saranno, pertanto, tenute a comunicare informazioni su:

  1. fattori ambientali, quali l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’inquinamento, la biodiversità e gli ecosistemi;
  2. fattori sociali e diritti umani, quali la parità di genere e la parità retributiva, le misure contro la violenza e le molestie sul luogo di lavoro, le condizioni di lavoro (es. occupazione sicura, salari adeguati e orario di lavoro), i diritti delle persone con disabilità;
  3. fattori di governance, quali l’etica aziendale e la cultura d’impresa, la protezione degli informatori e i rapporti con clienti e fornitori, il ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa per quanto riguarda le questioni di sostenibilità e la loro composizione.

Gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità riguardano:

  • le imprese di grandi dimensioni anche se non sono di interesse pubblico (sono grandi imprese quelle che alla data di chiusura del bilancio superano i limiti numerici di almeno due dei tre seguenti criteri: stato patrimoniale pari a 20 milioni di euro; ricavi netti delle vendite e delle prestazioni pari a 40 milioni di euro; una media di 250 dipendenti);
  • le piccole e medie imprese quotate, ad eccezione delle microimprese.

Per maggiori dettagli si legga il nostro approfondimento «ESG: la direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione annuale di sostenibilità».

Conclusioni

L’attenzione verso l’Environmental, Social and Governance (ESG) è cresciuta negli ultimi anni e un numero sempre maggiore di imprese si concentra sull’integrazione di pratiche sostenibili e socialmente responsabili. Tra gli aspetti fondamentali dell’ESG, la parità di genere ha assunto un ruolo di rilievo: oltre agli evidenti benefici etici, promuovere la parità di genere consente alle imprese di accedere a talenti diversificati, migliorare le decisioni aziendali, aumentare la produttività, costruire una reputazione e un marchio positivi che aumentano la fiducia di consumatori e investitori.

Toffoletto De Luca Tamajo è a Vostra disposizione per supportarvi nell’adempimento degli obblighi di legge in materia di parità di genere e, in generale, nell’adeguamento delle organizzazioni aziendali agli obiettivi ESG, con particolare riferimento ai diritti sociali.

Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it
Rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile Parità di genere: attenzione alle scadenze per il rapporto biennale e l’esonero contributivo Aprile 12, 2024 - Il termine per la trasmissione del Rapporto biennale 2022-2023 sulla situazione del personale maschile e femminile è differito dal 30 aprile al 15 luglio 2024. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 198/2006, le imprese che occupano più di 50 dipendenti devono elaborare un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile e inviarlo, con cadenza biennale, al Ministero del lavoro, alle rsa, al Consigliere regionale di parità e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del CdM.
digital nomad Immigrazione: operative le regole per l’ingresso e il soggiorno dei nomadi digitali e dei lavoratori da remoto Aprile 8, 2024 - Il 4 aprile 2024 è stato pubblicato il Decreto ministeriale del 29 febbraio 2024 ed è ora operativa la previsione che permette l’ingresso in Italia ai cittadini stranieri che svolgano, in via autonoma o per un’impresa anche non stabilita nel nostro Paese, un’attività lavorativa altamente qualificata mediante strumenti tecnologici che consentano di lavorare da remoto. Detti soggetti sono ammessi in Italia indipendentemente dalle quote stabilite nella programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro degli extracomunitari. Il Decreto si applica ai lavoratori autonomi (nomadi digitali), a quelli subordinati e ai collaboratori le cui modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (etero-organizzati).
Le novità dell’ultimo anno in materia di salute e sicurezza sul lavoro Le novità dell’ultimo anno in materia di salute e sicurezza sul lavoro Aprile 3, 2024 - La Giornata mondiale della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro del 28 aprile è un’importante occasione per fare il punto sul livello di garanzia realmente raggiunto e per riflettere sulla distanza che ci separa dall’obiettivo “zero morti sul lavoro” nell’Unione europea entro il 2030. Si tratta dell’ambizioso obiettivo fissato dalla Confederazione europea dei sindacati nel 2022. I dati allarmanti sulla sicurezza nei cantieri hanno spinto il Governo ad adottare un nuovo pacchetto di norme, inserito nel decreto legge n. 19/2024 - noto come decreto PNRR 4 - pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 marzo 2024. Non è questo l’unico intervento dell’ultimo anno in materia di salute e sicurezza: novità interessanti sono state introdotte anche dal Decreto Lavoro 2023 e dall’UE sono arrivate nuove regole sull’esposizione all’amianto.
In caso di dimissioni il datore di lavoro può rinunciare al preavviso senza corrispondere l’indennità sostitutiva In caso di dimissioni il datore di lavoro può rinunciare al preavviso senza corrispondere l’indennità sostitutiva Aprile 3, 2024 - L’istituto del preavviso è comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato, come il contratto di agenzia e il contratto di lavoro subordinato, e la sua funzione consiste nell’attenuare le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto per la parte che subisce il recesso. Nel caso di rapporti di lavoro a tempo indeterminato la funzione del preavviso è quella di garantire alla parte che subisce il recesso di organizzarsi per trovare un sostituto (in caso di dimissioni) o per trovare un nuovo lavoro (in caso di licenziamento). Che succede se il lavoratore si dimette con preavviso e il datore di lavoro vi rinuncia? Sul punto si sta consolidando un interessante orientamento giurisprudenziale che correttamente dispone che in caso di dimissioni il datore che rinunci al preavviso non debba corrispondere all’ex dipendente l’indennità sostitutiva.