Last Updated on October 30, 2019
Di: Avv. Wanda Falco
Una delle questioni più dibattute in materia di licenziamento per giusta causa concerne la riconducibilità delle condotte extra-lavorative del dipendente nell’alveo dell’art. 2119 c.c. Si tratta, in sostanza, di capire se – ed eventualmente in che misura – rilevino ai fini di un licenziamento in tronco una serie di condotte che apparentemente hanno poco o nulla a che vedere con il nucleo principale dell’obbligazione lavorativa in quanto tenute al di fuori dell’orario e dell’ambiente di lavoro.
Sembra consolidato l’orientamento secondo cui in tali casi, pur non potendo configurarsi un illecito disciplinare in senso stretto, che presuppone l’inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di lavoro, è comunque ravvisabile una giusta causa di licenziamento: quest’ultima, infatti, non si riferisce solo alla condotta ontologicamente disciplinare, ma anche a quella che, seppure estranea al rapporto lavorativo, si riveli incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale lo stesso si fonda.
Vediamo nel dettaglio come si è orientata la giurisprudenza degli ultimi anni.
Condotte extra-lavorative che ledono la fiducia del datore
Il punto di partenza di qualsiasi pronuncia giudiziale in tema di legittimità del licenziamento per giusta causa fondato su condotte extra-lavorative è il vincolo fiduciario alla base di ogni rapporto di lavoro, la cui lesione può avvenire in molteplici modi. Infatti, non è solo la violazione di un obbligo contrattuale che fa venire meno la fiducia del datore nei confronti del proprio dipendente e l’aspettativa sulla correttezza del futuro adempimento delle sue obbligazioni.
In sostanza, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali. E’, infatti, determinante la potenziale influenza del comportamento negativo del lavoratore suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione al rispetto degli obblighi di diligenza, buona fede e correttezza.
Chiaramente, le condotte extra-lavorative non sono solo quelle afferenti alla vita privata in senso stretto, ma anche quelle afferenti a qualsiasi ambito nel quale si esplichi la personalità del lavoratore e non devono essere necessariamente successive all’instaurazione del rapporto di lavoro; si può trattare anche di condotte tenute prima dell’assunzione o tenute nell’ambito di rapporti di lavoro pregressi, ma apprese dal datore solo dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate al dipendente e dal ruolo rivestito nell’organizzazione aziendale. Si pensi, ad esempio, al dipendente di banca rinviato a giudizio per reati commessi in occasione di un pregresso rapporto di lavoro intercorso con altro istituto di credito. In tali casi, la condotta extra-lavorativa “a maggior ragione assume rilevanza quando tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione” (Cass. 15373/2004).
Focus su alcuni casi al vaglio della Cassazione per cui il licenziamento è stato considerato legittimo
Per poter meglio apprezzare la portata dei principi sopra esposti, nel presente paragrafo ci si soffermerà su alcune recenti pronunce della Cassazione in materia.
Un caso particolarmente interessante è quello relativo al licenziamento di un addetto alla sicurezza delle infrastrutture ferroviarie che aveva aperto le bombole del gas nella sua abitazione, aveva minacciato di far esplodere la palazzina nonché aggredito gli agenti di polizia intervenuti.
Tali comportamenti sono stati reputati di particolare gravità sotto il profilo del vincolo fiduciario anche in considerazione delle mansioni specifiche svolte dal dipendente quale operatore della sicurezza. Come spiegato dalla Corte, l’interesse aziendale non può essere efficacemente perseguito “da una squadra di colleghi i cui componenti, prima ancora di occuparsi della sicurezza delle infrastrutture ferroviarie, devono impiegare le loro energie nel contenere il rischio che un membro della loro stessa squadra possa nuovamente indulgere in comportamenti così distruttivi e antisociali” (Cass. 8027/2019).
Sulla base dei medesimi principi, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento anche in altri casi piuttosto recenti tra i quali si segnalano i seguenti:
- il caso del dipendente del settore portuale che contrabbandava tabacco, licenziato per giusta causa in considerazione del grado di affidamento particolarmente elevato richiesto, stante il luogo di svolgimento della prestazione – area portuale destinata al passaggio continuo di merci (Cass. 18401/2019);
- il caso dell’operaio di un’azienda fornitrice di energia elettrica, licenziato per giusta causa in quanto presso la piazzola di sua proprietà era stato riscontrato un allaccio abusivo alla rete elettrica (Cass. 13197/2017);
- il caso dell’operaio arrestato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, licenziato per giusta causa in quanto, sebbene non ricoprisse una posizione di rilievo e responsabilità, svolgeva la propria attività di operaio all’interno dello stabilimento con numerosi altri lavoratori e con conseguente pericolo di diffusione nell’ambiente dello stupefacente detenuto (Cass. 8132/2017).
Focus: la Cassazione su alcuni casi nei quali il licenziamento è stato considerato illegittimo
Accanto ai casi in cui è emersa l’idoneità della condotta extra-lavorativa a ledere il vincolo fiduciario, se ne registrano altri in cui, invece, i giudici hanno ritenuto che le condotte poste al di fuori dell’ambiente di lavoro, seppur illecite (perché, ad esempio, penalmente rilevanti), non fossero tali da incidere sul rapporto di lavoro.
Si segnala, in particolare, il caso del capo stazione condannato penalmente per maltrattamenti in famiglia e conseguentemente licenziato per giusta causa. La Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento in quanto la condotta extra-lavorativa in oggetto non poteva ritenersi idonea ad incidere sulla fiducia riposta dal datore nel futuro corretto adempimento degli obblighi lavorativi: i fatti contestati appartenevano ad un ambito strettamente personale e privato e non erano tali da riversarsi sul diverso piano del rapporto di lavoro. Infatti, la condotta lavorativa del capo stazione negli anni precedenti era stata impeccabile, non avendo mai il dipendente tenuto comportamenti aggressivi e violenti e non essendogli state mai contestate condotte sconvenienti, prepotenti o litigiose nei confronti dei colleghi o degli utenti che sarebbero state indice di una personalità irrispettosa e rissosa. In tale ipotesi, dunque, mancavano completamente i presupposti per ritenere i comportamenti del lavoratore tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore o da compromettere il rapporto fiduciario (Cass. 21958/2018).
Condotte extra-lavorative e pubblico impiego
Ai principi sopra richiamati e posti a fondamento della legittimità del licenziamento per giusta causa motivato da condotte extra-lavorative si aggiungono, nel pubblico impiego, principi generali di rango costituzionale quali l’imparzialità ed il buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) nonché il principio secondo cui “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (art. 54, comma 2 Cost.).
In altre parole, come spiegato in diverse pronunce, “l’irreprensibilità di condotta e laspecchiatezza di immagine” sono specifici elementi costitutivi di quello speciale rapporto fiduciario che connota il pubblico impiego privatizzato e che può venire meno, ad esempio, per una sentenza di condanna passata in giudicato anche se relativa a fatti estranei alla prestazione lavorativa (Corte d’Appello di Potenza, 172/2018).
Nel pubblico impiego, dunque, la delicatezza del vincolo fiduciario è ancora più accentuata che nell’impiego privato, trattandosi di un rapporto di lavoro costituito per l’espletamento di un servizio pubblico da parte di un dipendente inserito in un ufficio di rilevanza pubblica a contatto con gli utenti.
In particolare, l’applicazione dei suddetti principi è molto severa nei confronti dei dipendenti delle Agenzie fiscali che rappresentano lo Stato nell’esercizio di una delle sue funzioni più autoritative, il prelievo fiscale: i dipendenti di tale settore devono, pertanto, operare in modo da guadagnare sempre più, nell’esercizio di quella funzione, il rispetto e la fiducia che i cittadini devono alle istituzioni (Cass. 3622/2018).
Tale lettura così rigorosa ha, pertanto, portato la Cassazione a confermare la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente dell’Agenzia delle Entrate che aveva patteggiato la pena di due anni di reclusione per il reato di violenza sessuale commesso a danno di una quindicenne. Ad avviso della Corte l’attività di controllo fiscale esige credibilità e trasparenza, valori, questi, non compatibili con la condotta di prevaricazione sessuale posta in essere dal dipendente (Cass. 20562/2018).
I medesimi principi trovano applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro non sia una P.A. in senso stretto, ma sia un soggetto che eroga un servizio pubblico, ancorché in regime giuridico privatistico. Infatti, l’attività dello Stato o degli enti pubblici, intesa a soddisfare pubblici interessi, può essere svolta, come accade ad esempio per il servizio postale, mediante la costituzione di società con capitale prevalentemente o totalmente pubblico. Proprio l’impegno di capitale pubblico e la pubblicità del fine perseguito sottomettono l’attività svolta ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Ciò non è senza riflesso sui doveri gravanti sui lavoratori dipendenti che devono assicurare affidabilità nei confronti del datore di lavoro e dell’utenza anche nella condotta extra-lavorativa.
Per tali ragioni la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente postale condannato per usura ed estorsione a danno di soggetti terzi: la natura di servizio pubblico dell’attività svolta, sia pure in regime privatistico, accentua, infatti, il disvalore della condotta illecita extra-lavorativa del dipendente (Cass. 776/2015).
Conclusioni
Come già emerso in materia di licenziamento per furto di merce aziendale di modico valore, la lesione della fiducia del datore – mediante comportamenti extra-lavorativi – legittima il licenziamento per giusta causa anche in assenza di un nocumento materiale o d’immagine per l’azienda datrice di lavoro. La legittimità del licenziamento, dunque, non si fonda sull’entità del danno patrimoniale e non arrecato al datore, ma sull’accertamento della inaffidabilità futura del dipendente che con la propria condotta (dentro e fuori l’ambiente di lavoro) fa perdere all’azienda la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti. Tale fiducia costituisce un valore ancora più “prezioso” nel pubblico impiego in cui entrano in gioco principi e valori di rango costituzionale che impongono una condotta del dipendente pubblico specchiata ed esemplare dentro e fuori l’ambiente di lavoro.
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