Last Updated on April 10, 2020
Di: Avv. Wanda Falco
La reperibilità è uno strumento che serve a garantire la prestazione lavorativa in presenza di esigenze variabili e non prevedibili attraverso il richiamo in servizio del lavoratore assente (si pensi, ad esempio, all’attività di manutenzione delle casse automatiche dei caselli autostradali per guasti tecnici imprevisti che richiedono immediato intervento di notte).
Si tratta di un istituto che presenta alcuni problemi applicativi quali la configurabilità come orario di lavoro delle ore di reperibilità, la sussistenza di un diritto soggettivo del lavoratore all’inclusione nei predetti turni nonché la sussistenza di un diritto ai riposi compensativi in caso di reperibilità durante giorni festivi.
Vediamo nel dettaglio quali risposte la giurisprudenza ha dato a tali questioni.
La reperibilità costituisce orario di lavoro?
Il D.lgs. 66/2003, attuativo delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, all’art. 1 stabilisce che per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Da tale definizione si può desumere che la mera disponibilità del lavoratore a recarsi a lavoro qualora il datore lo richieda non sia riconducibile all’orario di lavoro. Si tratta, infatti, di “una prestazione strumentale e accessoria, qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistente nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizioni di essere prontamente rintracciato, in determinati archi temporali, in vista di un’eventuale successiva prestazione, cui corrisponde l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere uno specifico compenso aggiuntivo alla normale retribuzione” (Cass. 14288/2011; Cass. 18654/2017).
Sulla reperibilità si è pronunciata anche la Corte di Giustizia che, relativamente al singolare caso di un lavoratore addetto al servizio di guardia, ha spiegato che il turno di reperibilità deve essere incluso nell’orario di lavoro nel caso (come quello di specie) in cui il dipendente non sia solo tenuto a essere raggiungibile durante i servizi di guardia, ma debba anche essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro (nella specie, il privato domicilio) e rispondere alle sue convocazioni entro 8 minuti. Si tratta, evidentemente, di un caso peculiare in cui gli obblighi imposti al lavoratore sono tali da limitare in modo oggettivo la possibilità di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali (C-518/15 caso Matzak).
Diverso, come spiega la CGUE, è il caso – più comune – in cui il lavoratore svolga una guardia secondo un sistema di reperibilità che vuole semplicemente che egli sia sempre raggiungibile. Pur essendo, infatti, a disposizione del suo datore di lavoro, il lavoratore può gestire il suo tempo con maggiore libertà e dedicarsi ai propri interessi. Di conseguenza, solo il tempo relativo alla prestazione effettiva di servizi deve essere considerato come “orario di lavoro” ai sensi della direttiva 2003/88.
Esiste un diritto ai riposi compensativi in caso di reperibilità nei giorni festivi?
Altra questione ormai chiarita dalla giurisprudenza è quella relativa alla sussistenza o meno di un diritto del lavoratore ai riposi compensativi nel caso in cui sia stato reperibile nei giorni festivi.
A tal proposito occorre precisare che bisogna distinguere tra la pronta disponibilità passiva, ovvero la mera reperibilità del lavoratore e la pronta disponibilità attiva, cioè l’effettiva chiamata in servizio.
In entrambe le ipotesi al dipendente spetta un’indennità specifica che è prevista dal contratto collettivo. La differenza di trattamento sorge, invece, in merito al riposo compensativo.
La giurisprudenza ritiene che, a differenza della pronta disponibilità attiva, la mera reperibilità passiva nel giorno festivo non dia diritto a un riposo compensativo non potendo essere equiparata alla prestazione lavorativa. Come detto nel paragrafo precedente, la reperibilità passiva costituisce un’obbligazione strumentale e accessoria rispetto a quella lavorativa che, pur comportando una limitazione della sfera individuale del lavoratore, non impedisce il recupero delle energie psico-fisiche. La mera disponibilità alla eventuale prestazione, infatti, permette di svolgere nel frattempo altre attività sociali e familiari comportando, dunque, una limitazione al godimento del riposo, ma non la sua perdita (Cass. 26723/2014; Cass. 11727/2013).
In altre parole, il servizio di reperibilità passiva svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto ad un particolare trattamento economico aggiuntivo stabilito dalla contrattazione collettiva, mentre non comporta il diritto ad un giorno di riposo compensativo (quest’ultimo, deve essere concesso automaticamente solo nell’ipotesi in cui il lavoratore reperibile sia stato chiamato in concreto a svolgere una prestazione).
Qualora, poi, la contrattazione collettiva, in aggiunta all’indennità di reperibilità, riconosca anche il diritto ad un riposo compensativo, la mancata concessione di tale riposo è idonea ad integrare un’ipotesi di danno non patrimoniale da usura psico-fisica ex art. 2059 c.c. Resta fermo che il risarcimento di tale danno spetta solo qualora il lavoratore fornisca allegazione e prova del pregiudizio patito e del nesso causale tra il diniego di riposo e il danno alla salute. Non è, dunque, configurabile un danno in re ipsa essendo il riposo compensativo in questione collocato al di fuori della tutela costituzionale dell’art. 36 Cost. in quanto la mera disponibilità alla eventuale prestazione incide diversamente sulle energie psico-fisiche del lavoratore rispetto al lavoro effettivo (Cass. 20191/2015).
Sussiste un diritto del lavoratore a essere inserito nei turni di reperibilità?
Un altro aspetto interessante in materia di reperibilità è quello relativo alla sussistenza di un diritto del lavoratore ad essere inserito nei turni di reperibilità.
La questione è stata affrontata dalla Cassazione relativamente al caso di un lavoratore che lamentava la mancata inclusione nel servizio di reperibilità disposto dall’azienda (Cass. 20648/2017).
La Suprema Corte, cassando la sentenza di merito che riteneva esistesse un diritto soggettivo del lavoratore all’inserimento nei turni di reperibilità, ha evidenziato che il servizio di reperibilità è organizzato in turni periodici a seconda delle esigenze funzionali dell’azienda. In sostanza, l’inclusione di un dipendente nei turni di reperibilità può derivare unicamente dalle effettive esigenze aziendali, valutate discrezionalmente dal datore, e non dalla sua appartenenza a un determinato inquadramento professionale o a una specifica unità di lavoro.
Il servizio di reperibilità, dunque, non costituisce di per sé una mansione in senso tecnico-giuridico, ma integra un obbligo accessorio alla prestazione principale e intermedio rispetto al suo adempimento, esigibile soltanto nel caso in cui si presenti quella specifica esigenza che la turnazione è chiamata a soddisfare. Da ciò consegue anche che l’esclusione del lavoratore dai turni di reperibilità non comporta una dequalificazione professionale.
Conclusioni
La reperibilità costituisce uno strumento davvero utile per l’azienda che voglia assicurarsi la disponibilità del proprio dipendente per far fronte a esigenze sopravvenute non prevedibili in quanto variabili.
Pochi dubbi sorgono in merito ai casi in cui il lavoratore reperibile sia chiamato a svolgere concretamente la prestazione lavorativa. Come visto, invece, sono emerse alcune problematiche in relazione ai casi in cui il lavoratore sia solo tenuto a rendersi disponibile senza essere concretamente chiamato a lavorare. In tali ipotesi vale la regola generale secondo cui la reperibilità passiva non è equiparabile alla prestazione lavorativa e, pertanto, non possono trovare applicazione i principi generali in materia di orario di lavoro e riposi compensativi.
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