Last Updated on April 27, 2020
Di: Avv. Wanda Falco
Il ricorso alle agenzie investigative è uno dei modi in cui il datore di lavoro esplica il potere di controllo sui dipendenti.
I controlli effettuati tramite investigazioni esterne non possono avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa (essendo, come tali, vietati dall’art. 4 St. lav.), ma devono essere destinati ad individuare comportamenti illeciti esulanti la normale attività e idonei a incidere sul patrimonio aziendale.
Le agenzie, dunque, per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 St. lav. direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
Vediamo nel dettaglio i presupposti delle investigazioni e i casi più comuni di ricorso alle agenzie investigative da parte delle aziende (sulla tematica delle investigazioni, sia interne che esterne, si rimanda al nostro e-book La protezione del patrimonio aziendale. Manuale delle investigazioni aziendali).
Le investigazioni: i presupposti
Come anticipato, sono ammessi i controlli difensivi, ovvero i controlli finalizzati alla tutela del patrimonio e dell’immagine aziendale e diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa. Il datore di lavoro ha, quindi, la possibilità di incaricare un soggetto esterno che sia preposto all’attività investigativa finalizzata alla tutela e alla difesa dei propri interessi, con l’unico limite dell’impossibilità di sconfinare in una generalizzata vigilanza sull’attività lavorativa vera e propria.
Il potere del datore di lavoro di ricorrere all’investigatore privato può essere esercitato in due casi:
- in presenza di evidenti prove di illeciti commessi dal dipendente;
- di fronte ad un semplice sospetto che l’illecito del dipendente sia stato o stia per essere commesso (Cass. 21621/2018).
Si pensi, ad esempio, al caso del dirigente licenziato sulla base di un report investigativo dal quale era emerso che egli non aveva provveduto a visitare la clientela. Il ricorso agli investigatori è stato ritenuto legittimo sulla base di mere incongruenze emerse dal raffronto tra i dati risultanti dalle registrazioni dei passaggi autostradali e i dati comunicati dal dipendente all’azienda (Cass. 15867/2017).
Le ipotesi più comuni di ricorso alle investigazioni
Tra i casi più comuni di ricorso alle investigazioni esterne da parte delle aziende si segnalano i seguenti:
- lo svolgimento di attività extra-lavorativa personalmente o per conto di terzi in violazione del divieto di concorrenza;
- lo svolgimento di altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia o infortunio;
- l’uso improprio dei permessi ex L. 104/1992;
- la falsa attestazione della presenza in servizio;
- il furto di beni aziendali.
Caso 1 Attività extra-lavorativa in concorrenza con il datore
Nel caso in cui il dipendente svolga, fuori dall’orario di lavoro, altra attività lavorativa in concorrenza con il datore, tiene una condotta disciplinarmente rilevante in quanto idonea a ledere il patrimonio aziendale e, quindi, il vincolo fiduciario. In tali casi il ricorso all’agenzia investigativa è legittimo in quanto il controllo sullo svolgimento di attività in concorrenza non è un controllo sull’attività lavorativa dovuta, ma su un comportamento illegittimo extra-lavorativo e rilevante ai fini disciplinari.
Sulla base di queste premesse la Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa di un operaio esperto sommozzatore che in orario extra-lavorativo svolgeva attività di soccorso con immersioni in favore di imbarcazioni non clienti della società datrice, circostanze emerse da un report investigativo (Cass. 12810/2017).
Caso 2 Attività incompatibile con malattia/infortunio
Particolarmente frequente è il caso del lavoratore che durante l’assenza per malattia o infortunio svolga attività incompatibili con il suo stato di salute e tali da pregiudicare o ritardare la guarigione e il ritorno in servizio. In tali casi è legittimo il licenziamento per giusta causa per grave lesione del vincolo fiduciario nonché l’accertamento dell’illecito mediante il ricorso all’agenzia investigativa. Ciò in quanto l’oggetto del controllo non è lo svolgimento della prestazione lavorativa, ma la violazione degli obblighi generali di diligenza e fedeltà gravanti sul lavoratore.
Si pensi al caso del dipendente, con mansioni di autista di pullman, che durante l’assenza dal lavoro per infortunio (che gli imponeva l’uso del collare cervicale), veniva sorpreso dall’agenzia investigativa ingaggiata dal datore a lavorare per altri occupandosi regolarmente e per un lasso di tempo significativo (oltre 100 giorni) delle operazioni di parcheggio dei clienti di uno stabilimento balneare (Cass. 17514/2018).
Caso 3 Abuso dei permessi ex L. 104/92
È sempre più frequente il ricorso alle agenzie investigative per smascherare i dipendenti che abusino dei permessi ex L. 104/92. In tali casi, si tratta di comportamenti illeciti tali da giustificare il licenziamento in tronco nonché penalmente rilevanti (in quanto integranti il reato di truffa ai danni dello Stato).
A tal proposito, si segnala il caso della lavoratrice colta dagli investigatori nello svolgimento di lavori in alcuni terreni di sua proprietà proprio nelle ore in cui aveva fruito di permessi per l’assistenza della suocera disabile (Cass. 9749/2016).
Anche per tali ipotesi la giurisprudenza ha chiarito che il controllo della corretta fruizione dei permessi ex L. 104/92 è estraneo all’attività lavorativa ed è finalizzato a verificare comportamenti illeciti sia se essi siano già in atto sia se di essi il datore abbia semplicemente il sospetto: siffatto accertamento può, dunque, essere lecitamente svolto attraverso un’agenzia investigativa.
Caso 4 Falsa attestazione della presenza in servizio
Particolarmente interessante è il caso di un dipendente che, come emerso dai report di un’agenzia investigativa, durante l’orario di lavoro si trovava spesso al di fuori della sede, intento nello svolgimento di attività extra-lavorative (quali, ad esempio, l’effettuazione di spese personali, la frequentazione di bar e ristoranti, incontri con soggetti che nulla avevano a che vedere con lo svolgimento delle mansioni contrattuali). Ciò avveniva in alcuni casi tralasciando la marcatura elettronica dell’uscita tramite badge, in altri casi iscrivendo a mano orari di ingresso e di uscita diversi da quelli reali (Trib. di Padova, 6031/2019).
Il giudice di merito, riconoscendo la legittimità delle investigazioni, ha chiarito che il rigoroso divieto di controllo occulto sancito dall’art. 3 St. Lav. sull’attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali non opera nel caso in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite (quali, ad esempio, la violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero l’utilizzo improprio di permessi di cui all’art. 33 L. 104/1992). Si tratta, nella sostanza, della dottrina dei cosiddetti “controlli difensivi”.
Resta, invece, fermo l’assoggettamento al rigoroso regime, stabilito dall’art. 3, interdittivo di ogni controllo diretto a verificare il corretto adempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali imposti dal contratto, in particolare con riferimento al diligente adempimento delle mansioni pattuite, nel caso in cui i fatti non siano qualificabili come illeciti civili, penali o amministrativi.
Caso 5 Il furto di beni aziendali
Frequente è il ricorso agli investigatori anche per smascherare furti di beni aziendali. Il caso esaminato, ad esempio, riguarda un dipendente di un supermercato licenziato per giusta causa dopo esser stato sorpreso – attraverso un sistema di telecamere occulte installate da un’agenzia investigativa – a prelevare prodotti del reparto dolciumi del magazzino.
La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento in quanto le telecamere erano state installate allo scopo di sorvegliare un solo e unico scaffale sul quale erano stati collocati determinati prodotti e accertare comportamenti differenti dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, ovvero salvaguardare il patrimonio aziendale (Cass. 10636/2017).
Analogamente, si segnala il caso della cassiera di un supermercato licenziata per mancata registrazione della vendita di alcuni prodotti e appropriazione delle relative somme in due occasioni nell’arco di 48 ore. Anche in questo caso è stata confermata la legittimità del ricorso alle investigazioni (nonché del licenziamento) in quanto i controlli effettuati erano diretti a verificare eventuali sottrazioni di cassa e, quindi, a salvaguardare il patrimonio aziendale (Cass. 25674/2014).
Conclusioni
È ormai riconosciuta dalla giurisprudenza la legittimità del ricorso agli investigatori privati da parte del datore di lavoro per avere conferma di sospetti sulla commissione di illeciti da parte dei dipendenti ai danni del patrimonio e dell’immagine aziendale. Si tratta, infatti, di controlli che non sono riconducibili né all’ambito di applicazione dell’art. 4 St. lav. né all’ambito di applicazione dell’art. 3 St. Lav., non avendo ad oggetto il corretto adempimento della prestazione lavorativa dedotta nel contratto, ma comportamenti illeciti, tali da minare la fiducia del datore.
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