Last Updated on October 1, 2020
Di: Avv. Wanda Falco
Sono tristemente noti i fatti di cronaca, anche recenti, relativi allo scandalo dei cosiddetti “furbetti del cartellino”: con tale espressione si allude al fenomeno che vede protagonisti dipendenti pubblici che, attraverso pratiche fraudolente legate all’uso del badge, risultano formalmente presenti sul luogo di lavoro, ma di fatto non svolgono la prestazione lavorativa.
Condotte del genere costituiscono illeciti disciplinari, trattandosi di gravi inadempimenti degli obblighi di diligenza e fedeltà del dipendente. Non solo. La falsa attestazione della presenza in servizio integra anche il delitto di truffa aggravata (ex art. 640 c.p.), a prescindere dall’entità del danno economico cagionato all’ente truffato: il dipendente, infatti, con artifici induce in errore la P.A. circa la sua presenza in servizio e si procura un ingiusto profitto dato dalla indebita percezione della retribuzione nonostante il mancato svolgimento della prestazione lavorativa (Cass. pen. 3262/2019; Cass. pen. 26956/2019).
La P.A. non è un comune datore di lavoro, ma un soggetto giuridico che rappresenta e tutela gli interessi della collettività e garantisce il corretto e regolare svolgimento dell’azione amministrativa nel pieno rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost.
Tali principi vanno intesi come fonte degli obblighi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, che impongono alla P.A. di evitare per quanto possibile sprechi delle risorse pubbliche e di perseguire i fini pubblici con il minor dispendio di risorse.
L’equilibrio della P.A. è inevitabilmente compromesso dalle condotte truffaldine sopra descritte che hanno costituito l’input per alcuni interventi legislativi volti a contrastare questo indecoroso fenomeno.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
La riforma Madia
Per contrastare il fenomeno dell’assenteismo nel pubblico impiego si sono susseguiti svariati interventi legislativi. Uno dei più recenti è il D.lgs. 116/2016, attuativo della Legge delega n. 124/2015 per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
In particolare, il decreto citato si occupa dell’assenteismo fraudolento, quale giusta causa di licenziamento, precisandone gli elementi costitutivi mediante aggiunta del comma 1-bisall’art. 55-quater del TU del pubblico impiego che così recita: “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”.
La norma attualmente è molto più descrittiva della versione antecedente alla riforma Madia, in quanto ritrae in maniera più dettagliata la condotta sanzionata e in particolare chiarisce la nozione di qualsiasi “modalità fraudolenta”: essa include, ad esempio, l’omessa timbratura, l’alterazione di documentazione cartacea dove ancora utilizzata, l’utilizzo di codici non appropriati, la consegna del badge a persona diversa dal titolare e suo indebito utilizzo, la falsa dichiarazione di partecipazione a riunioni, incontri, ispezioni esterne mai effettuate o per periodi di tempo diversi da quelli dichiarati.
In realtà anche prima della riforma la giurisprudenza interpretava la norma nel senso che la condotta sanzionata con il licenziamento includesse, oltre i casi di alterazione/manomissione del sistema di rilevazione, anche tutti quelli in cui la timbratura avvenisse con modalità tali da ingannare l’amministrazione circa il rispetto dell’orario di lavoro (Cass. 25750/2016; Cass. 25374/2017). Si pensi, ad esempio, al caso del dipendente che dopo aver regolarmente timbrato il cartellino marcatempo si allontani nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita: senza alterare o manomettere il sistema il dipendente riesce ugualmente a far risultare falsamente la presenza in ufficio (Cass. 22075/2018).
L’ampliamento delle fattispecie sanzionabili è giunto al punto che l’illecito commesso dal dipendente assenteista “avvalendosi di terzi” rende applicabile la sanzione del licenziamento anche al dipendente, non assenteista, che si sia prestato a consentire o a coprire l’illecito altrui.
A ciò si aggiunga che il comma 3-quinquies (inserito nell’art. 55-quater) considera illecito disciplinare punibile con il licenziamento anche l’inerzia “senza giustificato motivo dei dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto”: l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare costituiscono una forma di favoreggiamento.
Sono molteplici, dunque, le condotte sanzionate in quanto il buon andamento dell’ufficio viene compromesso non solo dal dipendente assenteista, ma anche dai colleghi conniventie dalla mancata reazione di chi (come i dirigenti) dovrebbe garantire il rispetto dell’orario di lavoro e il miglior funzionamento del servizio.
Altri strumenti di lotta all’assenteismo: il whistleblowing
Il whistleblowing costituisce una forma efficace di lotta alla corruzione: consiste nella denuncia da parte dei dipendenti dei comportamenti illeciti di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro (si veda sul punto il nostro approfondimento “Whistleblowing: fare la spia non sempre è disdicevole”).
A tal proposito si segnala che la L. 179/2017 è intervenuta proprio per garantire maggiori tutele agli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato. In particolare, per quanto riguarda il pubblico impiego, è stato modificato l’art. 54-bis del D.lgs. 165/2001. La norma, nella sua attuale formulazione, prevede che:
- il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro e determinata dalla segnalazione;
- l’identità del segnalante non può essere rivelata (nel procedimento penale l’identità del segnalante è coperta dal segreto mentre nel procedimento disciplinare l’identità può essere resa nota solo se la relativa conoscenza sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, ma è necessario il consenso dell’interessato);
- in caso di adozione di una misura discriminatoria contro il whistleblower è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria, da 5.000 a 30.000 euro, a carico del responsabile che abbia adottato la misura;
Le condotte oggetto di segnalazione possono essere tutte quelle che afferiscono a corruzione e mala gestio, cosa che consente di far rientrare nel perimetro della legge anche la piaga dei c.d. “furbetti del cartellino” che lede non solo l’immagine della P.A., ma anche l’efficienza economica della medesima e, dunque, la sua integrità.
A tal proposito va segnalato che uno dei primi enti ad adeguarsi alle novità legislative in questione è stata la Consip, società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che si è dotata di una piattaforma informatica per la gestione delle segnalazioni dei furbetti (https://consip.segnalazioni.net/).
Il sito permette al personale dipendente di segnalare online, in forma riservata e protetta, condotte illecite tramite una procedura semplice e intuitiva che, grazie ad un sistema criptato, assicura l’assoluta riservatezza rispetto all’identità del segnalante e garantisce che i messaggi e i relativi allegati possano essere letti esclusivamente dal mittente e dal destinatario.
Una delle prime attuazioni degli interventi legislativi in materia di furbetti del cartellino e whistleblowing è avvenuta proprio nel 2017 quando fu licenziata una dipendente del Comune di Roma che lavorava nell’Ufficio anticorruzione e, conseguentemente, accusata di truffa aggravata e continuata. L’impiegata, tristemente balzata agli onori della cronaca, era stata segnalata anonimamente da un collega che l’accusava di assentarsi dal lavoro dopo aver timbrato il cartellino. Dopo la denuncia la dipendente è stata pedinata per tre mesi dai Vigili Urbani e sarebbe stata vista timbrare il cartellino e poi lasciare il posto di lavoro per diverse volte.
Le più recenti novità in materia: la legge 56/2019
Nel tempo gli episodi sopra descritti e verificatisi con grande frequenza hanno messo in luce l’inidoneità delle modalità tradizionali di rilevazione delle presenze e l’insufficienza degli interventi volti a rendere più rigorosi i procedimenti disciplinari ed effettive le sanzioni espulsive.
Si è fatta strada la consapevolezza che occorre anche prevenire il fenomeno attraverso il cambiamento degli strumenti di rilevazione delle presenze.
Pertanto, negli ultimi mesi del 2018 si è stretta ulteriormente la morsa intorno ai “furbetti” attraverso le previsioni del “d.d.l. concretezza”, recante “interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo”.
Il disegno di legge è stato approvato l’anno successivo con L. 56/2019 che all’art. 2, rubricato “Misure per il contrasto all’assenteismo”, prevede l’introduzione di sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi, in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica, attualmente in uso, nel rispetto dei principi di proporzionalità, non eccedenza e gradualità sanciti dal GDPR 2016.
Conclusioni
L’efficienza della P.A. è fortemente condizionata dal fenomeno dell’assenteismo fraudolento che incrina il rapporto di fiducia che deve sussistere con il cittadino, diffondendo discredito nei confronti di tutti i dipendenti pubblici, danneggiando anche coloro che svolgono diligentemente le proprie mansioni.
Il fenomeno, diventato sempre più diffuso negli ultimi anni, ha reso necessari interventi di contrasto: ai fini di una maggiore efficacia, tuttavia, non basta che la lotta ai furbetti del cartellino sia fatta dalla dirigenza, ma è necessario creare le migliori condizioni affinché i colleghi del furbetto collaborino, nonché modificare completamente il tradizionale sistema di rilevazione delle presenze.
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