Last Updated on November 20, 2020
Di: Avv. Wanda Falco
È praticamente all’ordine del giorno, da quando è esplosa l’emergenza Covid-19, una modalità di lavoro che per anni, nonostante le notevoli potenzialità, non è mai stata implementata con grande convinzione da parte delle aziende: lo smart working.
Eppure, in un periodo come quello che stiamo vivendo, il lavoro agile ha dimostrato di essere un valido strumento che ha consentito di assicurare continuità all’attività lavorativa e, al tempo stesso, di ridurre notevolmente i rischi di trasmissione del virus nei luoghi di lavoro (sul punto si veda il nostro approfondimento “Smart working: tra incremento di produttività, conciliazione dei tempi di vita/lavoro e prevenzione dei rischi di contagio da COVID-19”).
Nei paragrafi seguenti esamineremo le principali differenze intercorrenti tra lo smart working ordinario e lo smart working emergenziale nonché le disposizioni attualmente vigenti in materia di lavoro agile durante l’emergenza Covid-19.
Lo smart working emergenziale e le differenze con lo smart working ordinario
Secondo l’art. 18 L. 81/2017 il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, nel cui ambito la prestazione, senza precisi vincoli di orario e di luogo, viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti della durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
La differenza sostanziale tra lavoro agile ordinario e lavoro agile emergenziale risiede nella ratio. Infatti, per la L. 81/2017 le finalità dello smart working sono l’incremento della produttività e un miglior bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa.
Nella fase emergenziale, invece, l’obiettivo dello smart working è diventato quello di ridurre la circolazione delle persone, contenere l’ondata epidemica e ridurre i rischi di trasmissione del virus nei luoghi di lavoro.
L’istituto, dunque, nasce con la finalità di incrementare la competitività aziendale e agevolare la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, ma ha assunto la nuova inedita funzione di strumento di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e di tutela della salute pubblica.
Dalla diversa ratio discende la diversa disciplina dei due “tipi” di lavoro agile.
Le caratteristiche del lavoro agile ordinario, infatti, sono:
- l’assenza di vincoli orari o spaziali e, dunque, l’assenza di una postazione fissa con possibilità di svolgere la prestazione in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali;
- l’accordo tra dipendente e datore di lavoro;
- l’obbligo di inviare gli accordi individuali di smart working attraverso l’apposita piattaforma informatica messa a disposizione sul portale dei servizi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
- l’obbligo del datore di lavoro di consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Il ricorso allo smart working emergenziale, invece, avviene secondo modalità diverse da quelle previste dalla L. 81/2017.
In sostanza, per rendere rapido e immediato il ricorso al lavoro agile nell’emergenza epidemiologica il legislatore ha snellito la procedura stabilendo che non è necessario l’accordo tra datore di lavoro e lavoratore (come invece stabilito dall’art. 18 L. 81/2017) e prevedendo una procedura semplificata per il caricamento massivo delle comunicazioni di smart working al Ministero del Lavoro.
In particolare, l’art. 90, commi 3 e 4 del D.L. Rilancio prevede che:
- fino alla cessazione dello stato di emergenza i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile nel sito del Ministero del lavoro (art. 90, comma 3);
- la modalità di lavoro agile può essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla L. 81/2017 (art. 90 comma 4);
- gli obblighi di informativa di cui all’articolo 22 della medesima legge sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile nel sito internet dell’Inail (art. 90 comma 4).
Diritto al lavoro agile per determinate categorie di lavoratori durante l’emergenza
Fermo restando che il governo con i vari DPCM susseguitisi negli ultimi mesi ha raccomandato il ricorso al lavoro agile nell’impiego privato come strumento indispensabile di contenimento del contagio (da ultimo con il DPCM del 3 novembre 2020, contenente ulteriori misure restrittive da applicare fino al 3 dicembre 2020), esistono dei casi in cui il lavoratore ha un vero e proprio diritto a svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile.
In particolare, si tratta di:
- genitori con figli minori di 16 anni in quarantena: ha diritto (fino al 31 dicembre 2020) allo smart working un genitore lavoratore dipendente con figlio minore di 16 anni in quarantena disposta dalla ASL a seguito di contatto verificatosi a scuola, in strutture frequentate per lezioni musicali e linguistiche o nell’ambito dello svolgimento di attività sportive (art. 21-bis DL agosto, come modificato dall’art. 22 DL Ristori);
- genitori con figli minori di 16 anni che fanno didattica a distanza: ha diritto (fino al 31 dicembre 2020) allo smart working un genitore lavoratore dipendente con figlio minore di 16 anni per il quale sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza (art. 21-bis DL agosto, come modificato dall’art. 22 DL Ristori);
- genitori con figli disabili: ha diritto (fino al 30 giugno 2021) allo smart working il genitore lavoratore dipendente privato che ha almeno un figlio in condizioni di disabilità grave, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore non lavoratore e che l’attività lavorativa non richieda necessariamente la presenza fisica (art. 21-ter DL agosto);
- lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio: hanno diritto (fino al 31 dicembre 2020) allo smart working i lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio (derivante da età, immunodepressione, patologie oncologiche, svolgimento di terapie salvavita, comorbilità) in base all’accertamento del medico competente (art. 90, comma 1, II periodo DL Rilancio).
- lavoratori fragili: hanno diritto (fino al 31 dicembre 2020) allo smart working i lavoratori fragili in possesso di apposita certificazione attestante una condizione di rischio – derivante da immunodepressione, patologie oncologiche e terapie salvavita – anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento (art. 26, comma 2-bis DL Cura Italia come modificato dall’art. 26 comma 1-bis DL agosto);
- lavoratori disabili o con familiare disabile: hanno diritto (fino al 31 dicembre 2020) allo smart working i lavoratori dipendenti in condizioni di grave disabilità o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con gravi disabilità purché lo svolgimento in modalità agile dell’attività lavorativa sia compatibile con le caratteristiche della prestazione (art. 39 comma 1 DL Cura Italia i cui termini sono prorogati dall’art. 1, comma 3 lett. a DL 125/2020).
- lavoratori con ridotta capacità lavorativa: hanno diritto (fino al 31 dicembre 2020) alla priorità nell’accoglimento delle domande di svolgimento delle prestazioni in modalità agile i lavoratori privati affetti da gravi e comprovate patologie e con ridotta capacità lavorativa (art. 39 comma 2 DL Cura Italia);
Smart working e malattia nel messaggio Inps 3653/2020
Cosa accade se un lavoratore in quarantena o un lavoratore fragile in sorveglianza precauzionale continuano a svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile?
Sul punto l’Inps ha chiarito, con messaggio n. 3653/2020, che quando il lavoratore, in assenza di una malattia conclamata, è in quarantena o in sorveglianza precauzionale (ex art. 26 commi 1 e 2 del D.L. n. 18 del 2020), non ricorre un’ipotesi di incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa: si tratta, invece, di una situazione di rischio per la collettività e per il lavoratore che, però, non impedisce a quest’ultimo di continuare a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile.
Pertanto, in tali casi non si applica la tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera, non essendoci sospensione dell’attività lavorativa con la correlata retribuzione.
Invece, in caso di malattia conclamata il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro, con diritto ad accedere alla corrispondente prestazione previdenziale, compensativa della perdita di guadagno.
Conclusioni
L’emergenza sanitaria ha acceso i riflettori su uno strumento poco utilizzato dalle imprese, sollecitando un cambiamento delle modalità ordinarie di organizzazione del lavoro e di gestione del personale.
Lo smart working, infatti, ha rappresentato fin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica una misura di contenimento del contagio dentro e fuori i luoghi di lavoro in quanto idonea a ridurre la circolazione delle persone e i contatti tra lavoratori nelle aziende. Durante il lockdown di marzo/aprile 2020 ha costituito l’unico modo per continuare, almeno in parte, l’attività lavorativa.
Come evidenziato dall’avv. Bottini in un articolo pubblicato sul Sole24ore il 26/10/2020 (“Da misura anticontagio a modello di sviluppo”), l’emergenza sanitaria è stata per lo smart working un importante trampolino di lancio in quanto questo periodo di sperimentazione di massa potrebbe aver cambiato la percezione che gli imprenditori italiani hanno del lavoro agile.
“