Last Updated on August 6, 2019
Di: Avv. Wanda Falco
*Questo articolo è stato aggiornato il 23 settembre 2019
La Gig economy, letteralmente “economia dei lavoretti”, è un modello economico che si è sviluppato negli ultimi anni grazie alla diffusione di numerose piattaforme digitali che offrono servizi personalizzati on demand ad un numero sempre più ampio di utenti. Il XVII Rapporto dell’INPS dedica un intero capitolo a questa nuova forma di economia e di lavoro e lo definisce proprio come “un modello di lavoro su richiesta, dove domanda e offerta si incontrano on-line attraverso apposite piattaforme digitali”.
Qual è il significato di Gig economy?
Nell’ambito della Gig economy si distinguono alcune tipologie quali il lavoro on demand tramite app (si pensi a Deliveroo, Uber, Foodora), il crowdwork, tipico di programmatori, freelance, informatici, professionisti che da casa propria o dal proprio studio si rendono disponibili a svolgere una moltitudine di differenti attività e l’asset rental, che consiste nell’affitto e noleggio di beni (si pensi a BlaBlaCar e AirBnb).
In Italia, in particolare, la Gig economy ha avuto grande diffusione nel settore della ristorazione mediante l’ordinazione del cibo tramite app e la consegna a domicilio da parte dei cosiddetti rider. Sono state proprio le notevoli dimensioni del fenomeno a fare luce su alcune problematiche particolarmente spinose quali la qualificazione dei rapporti di lavoro intercorrenti tra i rider e la piattaforma digitale e, dunque, le tutele spettanti ai medesimi. L’analisi che segue è proprio finalizzata ad esaminare lo stato dell’arte alla luce delle recenti pronunce di merito e delle prime iniziative a livello locale volte a riconoscere alcune tutele ai lavoratori digitali.
Gig economy e lavoro: i rider sono subordinati o autonomi?
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La sentenza del Tribunale di Torino 2018
In Italia la prima sentenza che si è pronunciata sulla problematica della qualificazione dei rapporti di lavoro dei rider è Tribunale di Torino, sez. Lavoro, Sentenza del 07/05/2018, n. 778, che ha respinto il ricorso di sei ciclofattorini di Foodora che avevano intentato una causa contro la società tedesca di food delivery, rivendicando la natura subordinata del loro rapporto di lavoro. Per il giudice torinese il rapporto in questione va qualificato come di lavoro autonomo in quanto non sussiste alcuna etero-organizzazione: la determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non viene imposta unilateralmente dall’azienda che si limita a pubblicare sulla piattaforma gli slot con i turni di lavoro, lasciando i rider liberi di dare o meno la propria disponibilità, così come sono liberi di rinunciare al turno già confermato o di non presentarsi senza alcuna comunicazione preventiva. In tali casi, la conseguenza è l’esclusione temporanea dai turni di lavoro, che non costituisce una sanzione disciplinare così come non può essere considerata emanazione di un ordine specifico la telefonata di sollecito fatta durante l’effettuazione della consegna quando emerge il ritardo del fattorino.
In sostanza il rapporto di lavoro intercorso tra le parti è caratterizzato dal fatto che i lavoratori non hanno l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e la società non ha l’obbligo di riceverla: i rider possono dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non sono obbligati a farlo; a sua volta la società può accettare la disponibilità data dai fattorini e inserirli nei turni da loro richiesti, ma può anche non farlo. Infatti, il profilo della non obbligatorietà della prestazione lavorativa esclude in radice la subordinazione perché l’etero-direzione è incompatibile con la libertà della parte che deve rendere la prestazione di rifiutarla.
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La sentenza del Tribunale di Milano 2018
Dopo la sentenza del Tribunale di Torino di maggio 2018 anche il Tribunale di Milano, sez. Lavoro, Sentenza del 10/09/2018, n. 1853 haconfermato la natura autonoma del rapporto di lavoro dei rider in quanto caratterizzato dalla possibilità per il prestatore di determinare quantità e tempi della propria attività. Non rileva, infatti, che una volta manifestata la disponibilità a prestare l’attività in una determinata fascia oraria, le modalità della prestazione siano standardizzate in base a regole prefissate dalla società (es. l’immediata esecuzione delle consegne nel minor tempo possibile). Anche nel lavoro autonomo, infatti, il committente impartisce istruzioni in ordine al contenuto e agli obiettivi dell’incarico affidato e fissa standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni concordate, verificando il rispetto degli stessi da parte del prestatore.
I rider, in quanto autonomi, sono liberi di determinare se e quando lavorare e tale libertà viene esercitata nel momento in cui scelgono o meno di accedere al sistema e scelgono quali proposte di consegna accettare: ciò non avviene assolutamente in un rapporto di lavoro subordinato. Inoltre, non può essere assimilata all’esercizio del potere disciplinare la scelta della piattaforma di attribuire un punteggio più basso ai rider che vengono meno agli impegni presi sebbene abbiano dichiarato la propria disponibilità per una data fascia oraria: il sistema di punteggio, che impedisce ai rider con uno score basso di ricevere più proposte di consegna, infatti, non comporta vere conseguenze disciplinari (nessun licenziamento, sospensione o sanzione).
Il caso Foodora 2019
Rispetto alle pronunce esaminate nel paragrafo precedente, la Corte d’Appello di Torino, sez. Lavoro, Sentenza del 04/02/2019, n. 26 qualifica diversamente il rapporto di lavoro dei ciclofattorini di Foodora. I giudici di II grado, infatti, spiegano che il rapporto di lavoro intercorrente tra il rider e Foodora è riconducibile alla collaborazione etero-organizzata di cui all’art. 2 d.lgs. 81/15. Si tratta di un terzo genere di rapporto che si affianca al lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c. e alla co.co.co. di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c: tale rapporto è caratterizzato dal fatto che il committente ha il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa stabilendo anche i tempi e i luoghi di lavoro senza, però, sconfinare nell’esercizio del potere gerarchico e disciplinare che sono alla base dell’etero-direzione.
Come spiegano i giudici, la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nell’organizzazione produttiva del committente; in tal modo la prestazione lavorativa finisce con l’essere strutturalmente legata all’organizzazione del committente e si pone come “un qualcosa che va oltre la semplice coordinazione di cui all’articolo 409 n. 3 c.p.c., in cui il collaboratore, pur coordinandosi con il committente, organizza autonomamente la propria attività lavorativa”.
Da ciò discende che siffatti rapporti restano tecnicamente autonomi, ma per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita, limiti di orario, ferie e previdenza, sono regolati dalla disciplina del lavoro subordinato, come espressamente previsto dall’art. 2 d.lgs. 81/15.
Nel caso in esame, come evidenziano i Giudici di Appello, i rider di Foodora lavorano sulla base di una turnistica stabilita dalla società, le zone di partenza sono determinate dalla committente, gli indirizzi presso cui di volta in volta effettuare la consegna vengono comunicati tramite app e i tempi di consegna sono predeterminati (30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo). Indubbiamente le modalità di esecuzione sono organizzate dalla committente quanto ai tempi e ai luoghi di lavoro, ma non esiste alcun obbligo di eseguire la prestazione in quanto i rider devono candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie stabilite e possono revocare la disponibilità data senza alcuna conseguenza sanzionatoria.
La sentenza in commento ha, pertanto, accolto parzialmente il ricorso negando il rapporto di lavoro subordinato, ma riconoscendo il diritto alla retribuzione stabilita per i dipendenti del V livello CCNL Trasposto e Logistica.
Lavori digitali: alcune iniziative locali per tutelarli
A seguito delle sollecitazioni provenienti dalla larga diffusione in Italia del fenomeno e dal grande scalpore destato dalla pronunce di merito appena esaminate, la Regione Lazio con la legge regionale n. 4/2019 ha previsto tutele ad hoc per i lavoratori digitali in tema di salute, sicurezza, previdenza, assistenza e compenso.
Gli obiettivi prefissati sono il miglioramento della trasparenza del mercato del lavoro digitale e il contrasto al lavoro non sicuro e a ogni forma di diseguaglianza e di sfruttamento. In particolare, la piattaforma digitale è tenuta a fornire al lavoratore dispositivi di protezione conformi alla disciplina in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, ad attivare l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali in favore del lavoratore digitale, quella per danni cagionati a terzi durante lo svolgimento dell’attività di servizio nonché quella per la tutela della maternità e della paternità. Inoltre, la piattaforma è tenuta a pagare un compenso non inferiore alla misura oraria minima determinata dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Come evidenziato dall’ avv. Bottini , partner dello studio Toffoletto De Luca Tamajo, in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, “Lavori digitali: dalla Regione Lazio una legge ad hoc” , il provvedimento suscita molti dubbi: in particolare, si segnala che ai lavoratori digitali devono essere garantiti diritti di informazione e di formazione sulle modalità di svolgimento dell’attività e sui relativi rischi nonché sulle modalità con cui l’algoritmo determina l’incontro fra la domanda e l’offerta di servizio. Quest’ultima previsione è alquanto problematica stanti i profili di segreto industriale coinvolti. A ciò si aggiunga che, come visto sopra, la Legge regionale detta addirittura regole sul compenso dovuto ai lavoratori digitali. In sostanza ci troviamo in presenza di un provvedimento ad alto rischio di incostituzionalità in quanto si spinge nel terreno della regolamentazione del rapporto di lavoro, terreno che rientra nell’ordinamento civile, materia di potestà legislativa statale esclusiva.
Accanto all’iniziativa della Regione Lazio si colloca quella del Comune di Bologna che il 31 maggio 2018 ha emanato la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”. All’esito di una mobilitazione che ha visto protagonisti i lavoratori del food delivery riuniti nella Riders Union Bologna, è stata sottoscritta da sindacati, Comune e alcune piattaforme locali la Carta dei diritti fondamentali dei riders che costituisce il primo esperimento in Europa di riconoscimento dei diritti dei lavoratori digitali. Tra i più rilevanti diritti contenuti nel testo si rinvengono il compenso orario fisso equo e dignitoso, non inferiore ai minimi tabellari sanciti dai contratti collettivi di settore, le maggiorazioni per lavoro festivo, notturno o svolto in condizioni meteo sfavorevoli, la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori indipendentemente dalla qualificazione giuridica del rapporto e la copertura assicurativa contro infortuni e malattie sul lavoro.
In GU il decreto-legge sui rider
L’intervento legislativo tanto atteso in materia di lavoro digitale è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 settembre 2019. Si tratta del DL 101/2019 contenente “Misure urgenti per la tutela del lavoro e la risoluzione di crisi aziendali”, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 6 agosto.
Il provvedimento, in particolare, interviene sul D.Lgs. 81/2015 estendendo la disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni le cui “modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali” (art. 2, comma 1 rubricato “collaborazioni organizzate dal committente”). In sostanza, è prevista l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a tutti i lavoratori su piattaforma (digitale e non) purché il rapporto di lavoro presenti le caratteristiche proprie della collaborazione etero-organizzata.
In tal modo il legislatore ha cristallizzato in una norma ciò che i giudici del caso Foodora 2019 avevano già dedotto dall’interpretazione dell’art. 2 comma 1 D.Lgs 81/2015: se la prestazione del lavoratore, organizzata mediante piattaforma, si svolge nelle forme tipiche delle collaborazioni organizzate dal committente, si applicano la disciplina e, quindi, le tutele del lavoro subordinato. In altre parole, si lascia ai giudici campo libero nella valutazione delle caratteristiche dei rapporti di lavoro “digitali”, senza sostanzialmente aggiungere un tassello nuovo al quadro già delineato dalla giurisprudenza, cosa che, invece, ci si aspettava da questo DL.
Accanto a questa previsione si segnala che il DL ha inserito nel D.Lgs 81/2015 anche un intero capo (V-bis) in cui sono previste specifiche tutele per i rider, definiti come “lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore”.
In particolare, è prevista la possibilità di determinare il compenso in base alle consegne effettuate (cottimo) purché in misura non prevalente, nonché la possibilità di riconoscere un compenso orario a condizione che, per ciascuna ora, il lavoratore accetti almeno una chiamata. A ciò si aggiunga anche che i ridersono soggetti alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che sarà a totale carico dell’impresa.
Si segnala che le tutele contenute nel capo V-bis del D.Lgs. 81/2015 si applicheranno decorsi 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del DL.
Conclusioni
Dalla breve analisi delle problematiche della gig economy emerge come ancora siano molto labili i confini tra autonomia e subordinazione e che proprio nel momento storico in cui sembrava raggiunto un equilibrio anche giurisprudenziale nell’applicazione degli indici rivelatori della subordinazione, l’esplodere del lavoro digitale ha rimesso in discussione le poche certezze raggiunte. Ancora una volta i confini sembrano labili, le Corti di merito altalenanti e non resta che attendere fiduciosi una pronuncia di legittimità che definisca nel modo più ragionevole e di buon senso i criteri in base ai quali qualificare questi nuovi lavori.
Alle problematiche in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro in questione non sembra, poi, aver dato congrua risposta il recentissimo intervento normativo: il DL 2019, infatti, non ha fornito criteri specifici per la qualificazione dei rapporti di lavoro digitali. Esso si è limitato a prevedere espressamente che anche ai lavoratori digitali, il cui rapporto abbia la forma della collaborazione etero-organizzata, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (soluzione, come visto, già individuata dalla giurisprudenza) e a riconoscere alcune tutele nel caso in cui i ridernon siano né lavoratori subordinati né collaboratori ex art. 1 D.lgs. 81/2015.
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