Licenziabile per giusta causa il dipendente che svolge attività incompatibili con la malattia o con i permessi ex L. 104/1992

Last Updated on November 7, 2019

Di: Avv. Wanda Falco

Spesso accade che a seguito di un’indagine investigativa il datore di lavoro scopra che il dipendente durante il periodo di assenza per malattia o infortunio svolge altre attività (lavorative e non) o che nei giorni di permesso per assistere un familiare disabile si dedichi a svariate attività, ma non a quella di assistenza. In tali casi, come può intervenire l’azienda? 

Vediamo nel dettaglio quali regole bisogna seguire per non incappare in un licenziamento illegittimo.

Svolgimento di altre attività durante le assenze per malattia: quando è legittimo il licenziamento?

È piuttosto frequente che durante i periodi di assenza dal lavoro per malattia o infortunio il dipendente si dedichi ad altre attività

Lo stato di malattia o di infortunio di per sé non comporta l’impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma occorre verificare in concreto l’effettiva condizione psico-fisica del lavoratore in rapporto alla mansione, nonché la compatibilità della condotta dallo stesso tenuta durante il periodo di malattia con il regolare percorso di guarigione che non deve risultare pregiudicato.

In altre parole, è legittimo procedere al licenziamento per giusta causa per violazione degli obblighi di diligenza e correttezza solo qualora l’attività svolta in costanza di malattia o di infortunio sia incompatibile con lo stato di salute del lavoratore e idonea a pregiudicare la guarigione e il rientro in servizio del medesimo. 

In casi del genere, infatti, il datore non solo è costretto a privarsi della presenza del dipendente malato o infortunato, ma rischia anche che il periodo di assenza venga prolungato dal comportamento sconsiderato e negligente del lavoratore che svolga attività incompatibili con lo stato di malattia. 

Tale circostanza da sola è sufficiente a legittimare il licenziamento per giusta causa e non è necessario eventualmente dimostrare la simulazione della malattia da parte del lavoratore e, dunque, la falsità ideologica del certificato medico.

Si segnalano a tal riguardo alcuni casi in cui la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa:

  • il caso del dipendente a cui erano stati prescritti cure e riposo a seguito di un infortunio e che nei giorni di assenza dal lavoro guidava automezzi e svolgeva attività di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture (Cass. 7641/2019);
  • il caso dell’autista di pullman, a cui era imposto l’uso del collare cervicale a seguito di un infortunio in itinere, che faceva il parcheggiatore in uno stabilimento balneare (Cass. 17514/2018);
  • il caso del lavoratore operato al menisco che continuava a lavorare nei campi di sua proprietà (Cass. 17636/2017);
  • il caso del dipendente con distorsione alla caviglia che aveva partecipato a due partite di calcetto in un torneo amatoriale (Cass. 10647/2017);
  • il caso del dipendente affetto da lombalgia che nei giorni di assenza per malattia faceva il cameriere e cassiere in un ristorante (Cass. 3067/2016);
  • il caso del dipendente che durante la convalescenza per una discopatia, che aveva reso necessari due interventi chirurgici, si era recato in azienda e aveva caricato sulla sua auto alcune bombole di gas molto pesanti (Cass. 13676/2016).

Panoramica su alcuni casi di illegittimità del licenziamento

Alla luce dei principi sopra esposti sono, invece, considerati dalla giurisprudenza tendenzialmente compatibili con lo stato di malattia o di infortunio spostamenti per acquisti e commissioni, purché riferibili ad esigenze ordinarie della vita quotidiana, e prestazioni di lavoro occasionali e limitate nel tempo.

In particolare, si segnala il caso di una dipendente di un supermercato licenziata perché durante il congedo per malattia riconosciuto a causa di una tendinopatia lavorava per qualche ora al giorno come cassiera nella pasticceria del marito. La Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento in considerazione del carattere sporadico delle prestazioni lavorative, come tali inidonee a peggiorare lo stato di salute della lavoratrice (Cass. 13270/2018). 

Analogamente è stato dichiarato illegittimo il licenziamento di un autista di camion che durante il periodo di malattia per sindrome ansioso-depressiva lavorava nella tabaccheria della moglie. Una tale attività discontinua, occasionale, completamente diversa e meno pericolosa di quella per la quale il dipendente era stato messo a riposo non era tale da determinare un rischio per la ripresa del lavoro (Cass. 30417/2017).

Si segnala, infine, la pronuncia di illegittimità del licenziamento del dipendente che durante l’assenza per malattia dovuta a contusione della spalla e del polso aveva guidato la propria autovettura e svolto in un esercizio commerciale attività di moderata intensità. Le descritte attività non erano incompatibili con la malattia considerato che la sua mansione, che consisteva nel guidare un camion con obbligo di scarico delle merci, era di gran lunga più gravosa della semplice guida di un’auto o dell’attività di vendita all’interno di un negozio (Cass. 21667/2017).

Dunque, svolgere altre attività durante le assenze dal lavoro per malattia o infortunio non è di per sé vietato, ma è necessario verificare caso per caso se tali diverse attività siano di intensità e frequenza tali da pregiudicare la guarigione e il rapido rientro in servizio. Chiaramente, se il dipendente svolge attività tali da ritardare la guarigione e il rientro a lavoro, tiene una condotta negligente che è tale da ledere la fiducia del datore. Diversamente, se le condotte tenute durante le assenze non denotano negligenza e imprudenza del dipendente, non può ritenersi leso il vincolo fiduciario. 

Indebito utilizzo dei permessi per l’assistenza dei familiari disabili: un caso emblematico di abuso del diritto 

Accanto ai casi in cui il dipendente durante le assenze per malattia o infortunio svolge attività incompatibili con tali status, altrettanto frequenti sono i casi in cui il lavoratore si assenta dal lavoro per fruire dei permessi ex L. 104/92 senza svolgere però attività di assistenza del familiare disabile. 

L’art. 33, comma 3, L. 104/1992 attribuisce al “lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità” il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa. 

La funzione del permesso è, dunque, quella di garantire l’assistenza al familiare disabile che può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito.

Non è assolutamente consentito utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio, infatti, comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, sacrificio giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore e dalla coscienza sociale come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto. Tale abuso non solo comporta una violazione dei doveri di fedeltà, diligenza, correttezza e buona fede che incombono sul dipendente, ma integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.

Infatti, è innegabile il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personali. Egli, infatti, in tal modo scarica il costo di tali esigenze sulla intera collettività, in quanto i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi. Non solo. Il dipendente disonesto “costringe il datore ad organizzare diversamente il lavoro in azienda ad ogni permesso e i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa” (Cass. 23891/2018).

La nozione “ampia” di assistenza al disabile

Per poter meglio individuare i casi in cui l’uso dei permessi ex L. 104/92 sfoci nell’abuso del diritto, occorre chiarire anche cosa debba intendersi per assistenza al disabile. 

La giurisprudenza ha elaborato una nozione ampia di assistenza che non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione ovvero semplice e materiale attività di accudimento dello stesso. L’assistenza comprende necessariamente anche lo svolgimento di incombenze pratiche di vario contenuto che il portatore di handicap non sia in condizione di compiere autonomamente.

In tale ottica, è stato dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che durante un giorno di fruizione di un permesso ex L. 104 era stato visto dagli investigatori incaricati dall’azienda mentre faceva dei prelievi al bancomat, andava a fare la spesa e incontrava un geometra per un problema di infiltrazioni nell’appartamento della madre disabile. Tutte le attività sopra descritte, pur non rientrando tra quelle di assistenza in senso stretto, erano finalizzate ad aiutare il familiare che, nelle condizioni in cui versava, non era assolutamente in grado di occuparsi di sé stesso e della casa (Cass. 23891/2018).

Analogamente è stato dichiarato illegittimo il licenziamento della lavoratrice che nelle giornate di permesso per assistere la madre disabile era stata vista uscire dall’abitazione della medesima per svolgere attività che erano comunque riconducibili in senso lato al concetto di assistenza: anche le commissioni svolte presso uffici e negozi, purché nell’interesse del familiare da accudire, costituiscono forme di assistenza a chi non è in grado di compierle autonomamente (Cass. 30676/2018).

Conclusioni

Come già ribadito negli altri articoli del ciclo dei licenziamenti per giusta causa ( Condotte extra-lavorative: non esistono “zone franche” se le condotte del dipendente ledono la fiducia dell’azienda  e  Furto di merce di modico valore: è legittimo il licenziamento per giusta causa ), sono molteplici le condotte che possono ledere la fiducia del datore. Un dipendente che nei periodi in cui dovrebbe restare a riposo si dedica ad attività tali da danneggiare la propria salute e ritardare il rientro in servizio, è inaffidabile anche se non ha falsificato i certificati medici e anche se le altre attività svolte non sono in concorrenza con il datore. Analogamente, è inaffidabile il dipendente che abusa dei permessi ex L. 104/92 stante il disvalore sociale della condotta e il peso che tale comportamento fa ricadere sulla collettività e sull’organizzazione aziendale.