Il licenziamento disciplinare del dirigente, tra libera recedibilità e giustificatezza

Last Updated on March 30, 2020

Di: Avv. Wanda Falco

Il dirigente è colui che, nell’ambito dell’azienda, esercita un ampio potere di determinazione delle scelte operative e organizzative in condizione di sostanziale autonomia, tanto da essere definito un vero e proprio “alter ego” dell’imprenditore. 

In sostanza, la qualifica di dirigente spetta al prestatore di lavoro preposto alla direzione dell’organizzazione aziendale e investito di attribuzioni che gli consentono, sia pure nel rispetto delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un orientamento al governo complessivo dell’azienda.

La giurisprudenza individua come tratti distintivi della categoria dirigenziale la collaborazione immediata con l’imprenditore per il coordinamento aziendale, l’ampio potere di autonomia nell’attività direttiva, la supremazia gerarchica su tutto il personale dell’azienda o di un ramo importante di essa e la subordinazione esclusiva all’imprenditore o a un dirigente superiore (Corte cost., 121/1972; Cass. 13191/2003).

In quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo di particolare rilevanza, in posizione, dunque, di superiorità gerarchica su tutto o gran parte del personale dipendente, il dirigente è legato al datore di lavoro da un rapporto spiccatamente fiduciario che, come vedremo, rischia di essere leso anche per fatti e comportamenti che in genere non determinerebbero il licenziamento di altri dipendenti.

Uno dei momenti in cui si esprime la peculiarità di tale figura è, infatti, proprio quello della cessazione del rapporto di lavoro.

Vediamo, pertanto, nel dettaglio come nasce la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente e alcuni casi pratici dai quali emerge la peculiarità del rapporto dirigenziale.

Il licenziamento del dirigente e la libera recedibilità

Il rapporto dirigenziale è disciplinato dagli artt. 2118 e 2119 c.c. (che non richiedono una motivazione per il recesso dal rapporto di lavoro) secondo cui ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro rispettando i termini di preavviso o, se il contratto è a tempo indeterminato, senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Quindi, mentre per i quadri, gli impiegati e gli operai il licenziamento intanto è legittimo in quanto sussista una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo o oggettivo, per i dirigenti è previsto, in linea teorica, un regime di libera recedibilità dal rapporto di lavoro.

Le ragioni che hanno indotto il legislatore a una tale scelta risiedono proprio nel fatto che il dirigente è un “alter ego” dell’imprenditore e nella specialità del relativo rapporto di lavoro caratterizzato da un notevole grado di fiducia.

La contrattazione collettiva di categoria, tuttavia, è intervenuta introducendo nella disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale alcune norme contrattuali che limitano la libertà di recesso datoriale, imponendo un obbligo di giustificazione e riconoscendo il diritto del dirigente al risarcimento del danno in caso di mancanza della stessa (nella forma dell’indennità supplementare).

Come, infatti, evidenziato dalla giurisprudenza, l’autonomia privata sia individuale che collettiva può prevedere limiti alla facoltà di recesso del datore di lavoro facendo ricorso “anche a clausole o concetti generali per disciplinare l’ipotesi del licenziamento ingiustificato, anche senza specificarla in una casistica dettagliata o in una definizione particolareggiata” (Cass. 5709/1999).

In tal modo, è nato il principio della giustificatezza del licenziamento del dirigente, cioè quel confine ideale diretto a contenere l’esercizio del potere di recesso datoriale ed evitare l’arbitrarietà delle scelte imprenditoriali.

La nozione di giustificatezza 

Come da giurisprudenza consolidata, la nozione di giustificatezza è del tutto autonoma e svincolata da quella di giusta causa o di giustificato motivo di licenziamento; conseguentemente, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, in quanto maggiori poteri presuppongono una maggiore intensità della fiducia e uno spazio più ampio ai fatti idonei a scuoterla (Cass. 6950/2019). 

Pertanto, ai fini della giustificatezza del recesso, può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore – tenuto conto anche dell’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente – e, come tale, atto a escludere l’arbitrarietà del licenziamento (Cass. 27971/2018).

Infatti, in considerazione della particolare posizione rivestita dal dirigente, il rapporto fiduciario potrebbe essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative dell’azienda, o da una importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro ovvero da un comportamento extra-lavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente (Cass. 2205/2016).

Caso 1: il dirigente che esprime dissenso nei confronti delle scelte aziendali

Il primo caso esaminato riguarda un dirigente di un ente di raccolta rifiuti licenziato per aver espresso con toni eccessivi e coloriti il proprio dissenso rispetto ai processi organizzativi individuati dal consiglio di amministrazione della società per ripristinare l’efficienza del servizio. 

La legittimità del licenziamento e la sua giustificatezza sono stati confermati dai giudici in quanto l’uso di toni così aspri provenienti da un dirigente è idoneo a diffondere presso i dipendenti un discredito nelle capacità dei superiori, alimentando un clima non collaborativo e di non condivisione delle strategie adottate. 

Tale condotta è, pertanto, idonea a determinare l’irreversibile compromissione del rapporto fiduciario. A tal riguardo, infatti, la Suprema Corte spiega che la nozione di giustificatezza “discostandosi da quella di giustificato motivo, trova la sua ragion d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in virtù delle mansioni affidate, dall’altro nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda” (Cass. 8659/2019).

Caso 2: il dirigente che offende i propri collaboratori

Altro caso in esame è quello del direttore commerciale licenziato per aver ripetutamente offeso e denigrato i sottoposti etichettandoli come “incompetenti”, “incapaci”, “non professionali” e “lavativi”. Tale condotta integra un comportamento inurbano, lesivo della dignità dei lavoratori, che impedisce loro di operare in un ambiente sereno e, come tale, sufficiente a legittimare la lesione del vincolo di fiducia. 

A sostegno della legittimità del recesso, la Corte ha in questa sede ribadito che la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica nel più rigoroso concetto di giusta causa o di giustificato motivo legittimante il licenziamento dei dipendenti privi di qualifica dirigenziale (Cass. 4113/2017).

Caso 3: il dirigente capace, ma troppo autoritario

Infine, si segnala il caso del dirigente licenziato per aver avuto un atteggiamento demotivante, prevaricatore di ruoli e competenze, instaurando un clima in azienda tutt’altro che sereno e costruttivo e inutilmente autoritario. Come evidenziato dai giudici, di fronte a tali comportamenti, passano in secondo piano le comprovate capacità e il conseguimento di ottimi risultati economici e lusinghieri posizionamenti di mercato. 

Anche in questo caso è stata confermata la giustificatezza del licenziamento essendo le condotte idonee a ledere il vincolo fiduciario (particolarmente delicato nel rapporto di lavoro dirigenziale) e mancando l’arbitrarietà del recesso. 

Conclusioni

Come visto, la figura del dirigente presenta delle caratteristiche tali che risulta legittimo il suo licenziamento anche per condotte che normalmente non determinerebbero il recesso datoriale se tenute da qualsiasi altro dipendente. Ciò in quanto il dirigente è legato al datore di lavoro da un rapporto di fiducia particolarmente delicato proprio in virtù dei maggiori poteri conferitigli. 

In sostanza, ai fini della legittimità del licenziamento del dirigente è sufficiente che la decisione datoriale non sia arbitraria, ma trovi il suo fondamento in un comportamento anche meramente inadeguato rispetto alle aspettative dell’azienda.