La social media policy aziendale: cos’è e a cosa serve?

Last Updated on February 21, 2020

Di: Avv. Wanda Falco

social network sono diventati un potente mezzo di comunicazione sempre più utilizzato anche dalle aziende per pubblicizzare i propri prodotti sul mercato. Come qualsiasi strumento che consenta di rendere pubblica un’idea, un’immagine, un’opinione, i social rischiano di diventare un boomerang per le aziende che non ne facciano un corretto uso tramite i propri dipendenti e collaboratori a ciò preposti. 

Analogamente, rischia di ledere gravemente l’immagine e la reputazione dell’azienda un dipendente che utilizzi i propri profili social per offendere, screditare o ridicolizzare il proprio datore di lavoro.

Fermo restando che un uso improprio dei social costituisce un’ipotesi di legittimo licenziamento disciplinare se idoneo a ledere l’immagine del datore e il vincolo fiduciario, è opportuno che le aziende si dotino di una social media policy che disciplini dettagliatamente l’utilizzo dei social network da parte dei propri dipendenti al fine di prevenire spiacevoli “incidenti”. 

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

La social media policy. Cos’è?

La Social Media Policy è il codice di condotta che regola la relazione su internet, e in particolare sui social media, tra l’azienda e i suoi dipendenti (social media policy interna) e tra l’azienda e i suoi clienti (social media policy esterna). 

Nel presente approfondimento ci soffermeremo sulla prima (d’ora in poi SMP) e, in particolare, sui limiti che i dipendenti devono rispettare anche quando pubblicano sui profili social personali.

La SMP interna si rivolge a due target aziendali distinti:

  • ai dipendenti che utilizzano e amministrano gli account aziendali;
  • ai dipendenti che utilizzano i propri account privati.

Essa fornisce le principali norme di comportamento che tutto il personale dell’azienda ed eventualmente i professionisti esterni incaricati sono tenuti ad osservare quando utilizzano i social media e pubblicano contenuti e commenti. Ciò vale sia quando l’utilizzo dei social faccia parte del lavoro del collaboratore e avvenga tramite un account aziendale sia quando attraverso un account personale si parli direttamente o indirettamente dell’attività dell’azienda o del ruolo svolto all’interno della stessa.

La SMP è, in sostanza, uno strumento con cui l’azienda rende i propri dipendenti consapevoli di come approcciare correttamente i social nel momento in cui associano il loro nome e la loro opinione al brand dell’azienda. Non solo. La policy serve anche a informare i lavoratori delle conseguenze disciplinari di comportamenti non conformi all’interesse datoriale in quanto danneggiano la reputazione dell’azienda, diffondono informazioni riservate o, più in generale, ledono il vincolo fiduciario.

Sembrano non esserci dubbi sul fatto che un dipendente, che gestisce il sito internet o i profili social dell’azienda, parli a nome della stessa e debba, dunque, fare molta attenzione ai contenuti che vengono pubblicati, facendo in modo che siano perfettamente in linea con le esigenze, i valori e gli interessi del datore. In tal caso, infatti, il dipendente deve rispettare le direttive aziendali relative alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che, nella specie, consiste nella gestione del sito internet o dei profili social dell’azienda e va eseguita rispettando i doveri di diligenza e fedeltà che gravano su tutti i collaboratori.

Non sembra, invece, scontato che ciò debba avvenire anche quando il dipendente pubblica sui profili social personali. 

Ed è proprio questo secondo caso che rende indispensabile dotarsi di una policy che chiarisca ai lavoratori che, anche quando si esce dall’ufficio, non si smette di essere dipendenti della propria azienda e, di conseguenza, sui propri profili social non si può pubblicare qualsiasi cosa senza alcuna conseguenza.

Alcuni possibili contenuti della social media policy 

Come detto, la policy interna serve anche a definire il perimetro dei profili personali dei dipendenti al fine di evitare che un uso improprio degli stessi possa arrecare qualche pregiudizio all’azienda. 

Per esempio, la policy può contenere l’invito rivolto ai dipendenti a fare in modo che qualsiasi commento o post riguardante l’ambito lavorativo sia fatto con senso di responsabilità e rispetto nei confronti dell’azienda, dei colleghi e dei clienti.

Essa può, inoltre, contenere l’invito a esprimere commenti riguardanti argomenti collegati all’attività dell’azienda specificando che si tratta di opinioni personali che non necessariamente rispecchiano quelle dell’azienda.

Si può anche specificare se e in quali casi il dipendente possa pubblicare foto sul luogo di lavorodove si intravedono uffici o macchinari: una foto scattata all’interno dei locali aziendali e poi pubblicata sui social personali, visibile da una audience ampia, potrebbe divulgare informazioni confidenziali.

La policy può, inoltre, contenere il divieto di divulgare attraverso i social network informazioni su attività, servizi, progetti e documenti non ancora resi pubblici, decisioni da assumere e provvedimenti relativi a procedimenti in corso.

 

Alcuni casi di licenziamento disciplinare per uso improprio dei social 

Come anticipato un uso improprio dei social che sia idoneo a ledere la reputazione, l’immagine e la fiducia che l’azienda ripone nei propri dipendenti costituisce causa di licenziamento disciplinare.

Infatti, fermo restando il diritto di critica e la libertà di manifestazione del proprio pensiero, quali diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, essi incontrano il limite della tutela dell’onore e della reputazione dell’azienda irrimediabilmente pregiudicati da un dipendente che manifesti il proprio pensiero sui social con un linguaggio e un atteggiamento volgari, offensivi e in generale in contrasto con il limite della continenza (su tale questione si rinvia al nostro approfondimento Libertà di opinione e tutela della reputazione: quali limiti al diritto di critica del dipendente?).

Di seguito si passeranno in rassegna alcuni casi di legittimo licenziamento per giusta causa del dipendente che abbia utilizzato i social contro l’azienda.

  • Caso 1: un dipendente si scattava 3 foto all’interno dei locali aziendali con alcuni colleghi e le pubblicava su Facebook, con il seguente messaggio accompagnatorio: “come si lavora alla XX ditta di m****”. L’azienda, appresi i fatti, licenziava il dipendente per giusta causa e il giudice di merito confermava la legittimità del licenziamento in quanto la condotta del dipendente rappresentava “un’evidente violazione dei più elementari doveri di diligenza, lealtà e correttezza”, con particolare riferimento alle espressioni ingiuriose, tali da determinare una lesione dell’immagine aziendale (Trib. Milano, ordinanza dell’1 agosto 2014).
  • Caso 2: un dipendente riceveva la lettera di riammissione in servizio dopo aver ottenuto la declaratoria di nullità del termine apposto al suo contratto e decideva di pubblicarla sulla propria bacheca Facebook accompagnandola da un post del seguente tenore: “Grazie cogl****!!!! Beccare Cash stando a casa a grattarsi il ca****!! Very thanks!!!”. Il dipendente veniva licenziato per giusta causa e il giudice confermava la legittimità del licenziamento stigmatizzando gli insulti gratuiti, offensivi dell’altrui reputazione e la volgarità dei commenti lasciati in visione per 15 giorni all’intero pubblico di Facebook (Trib. Ivrea, ordinanza del 28 gennaio 2015, n. 1008).
  • Caso 3: una dipendente pubblicava sulla propria bacheca di Facebook un post in cui esprimeva disprezzo per l’azienda (“mi sono rotta i co**** di questo posto di m***** e per la proprietà”). Anche in questo caso è stata confermata la legittimità del licenziamento per giusta causa in quanto la diffusione di un messaggio del genere attraverso l’uso di un social network costituisce un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. La condotta di postare un commento su Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso; se tale commento è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, integra gli estremi della diffamazione ed è idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo (Cass. 10280/2018).

Conclusioni

I social media sono una grande opportunità per le aziende, ma rischiano di diventare fonte di danno all’immagine se i dipendenti utilizzano i profili personali per screditare, ridicolizzare o diffamare il datore. 

Sicuramente la social media policy si rivela un modo efficace per rendere chiaro a tutti i collaboratori che anche fuori dai locali aziendali permane lo status di dipendenti dell’azienda e che non si possono pubblicare sui social – durante o fuori dall’orario di lavoro – contenuti per la stessa lesivi

Resta fermo che, a prescindere dalla policy, le condotte dei dipendenti che usano impropriamente i profili social, danneggiando l’azienda, sono causa di licenziamento disciplinare.