Whistleblowing

Last Updated on December 15, 2017

Whistleblowing

 

Anche in Italia è stata introdotta una protezione per i whistleblowers, letteralmente quelli che “suonano il fischietto” e segnalano gli illeciti che si verificano in ambito lavorativo dei quali sono venuti a conoscenza nello svolgimento delle proprie funzioni.

Le origini e la disciplina del fenomeno in Europa

Il tema della tutela dei whistleblowers ha assunto piena visibilità e destato significativo interesse a partire dal  2002, quando negli Stati Uniti è stata approvata la legge Sarbanes-Oxley che ha previsto, per le società quotate, l’obbligo di introdurre meccanismi idonei a garantire anonimato e protezione, contro eventuali atti di ritorsione, ai dipendenti che segnalino fatti illeciti posti in essere in ambito aziendale. Questa legge vincola le aziende americane anche per l’attività svolta all’estero ed ha causato non pochi problemi soprattutto per quelle aziende americane che operano in Europa, in quanto il principio della tutela della denuncia sembrava essere incompatibile con alcuni principi fondamentali dei nostri ordinamenti.

Lentamente, tuttavia, anche i paesi Europei hanno iniziato ad introdurre discipline in tema di whistleblowing, sia pure con molte limitazioni. In Francia, ad esempio, manca un generale sistema di protezione contro gli atti ritorsivi in favore dei dipendenti autori di denunce, e la speciale tutela è limitata ad alcune specifiche ipotesi.

La situazione in Italia e la necessità di adeguare i cd. “modelli 231”  

Già prima dell’ultimo intervento normativo, in Italia era stata introdotta una regolamentazione del fenomeno, molto frammentaria e limitata alle sole aziende pubbliche.

La nuova normativa completa la disciplina per il settore pubblico, ed estende le tutele anche nelle aziende private, le quali dovranno adeguare i propri modelli 231 introducendovi alcune prescrizioni finalizzate a incoraggiare e sostenere la “denuncia virtuosa”.

I modelli 231 dovranno, infatti, contenere:

  • la previsione di canali che consentano al lavoratore di denunciare eventuali illeciti, preservando l’anonimato del denunciante;
  • il divieto di atti di ritorsione o di discriminazione, diretti o indiretti, nei confronti del lavoratore denunciante per motivi collegati alla segnalazione;
  • l’introduzione, nel codice disciplinare, di sanzioni per chi viola il divieto di cui sopra e per chi effettua false denunce con dolo o colpa grave.

Gli aspetti critici della nuova disciplina

La nuova disciplina certamente riconosce notevoli garanzie al denunciante – che vanno dall’anonimato alla tutela contro eventuali atti di ritorsione – ma non fornisce invece adeguata protezione al soggetto ingiustamente accusato.

Il lavoratore che denunzia il falso, infatti, può essere sanzionato solo laddove la falsa segnalazione sia stata effettuata con dolo o colpa grave. Si tratta di una limitazione troppo stringente in quanto trascura il rischio che un lavoratore, protetto dalla garanzia dell’anonimato e dalle altre tutele, anche solo per leggerezza, possa lanciare accuse infondate causando gravi danni non solo ai suoi colleghi e superiori gerarchici, ma anche all’azienda.

In conclusione, quindi, si può dire che la nuova disciplina, pur partendo da un obiettivo condivisibile – vale a dire quello di incoraggiare le denunce interne, anche al fine di garantire maggiore trasparenza – finisce per garantire un’eccessiva tutela al denunciante, con il rischio che possano proliferare denunce che poi si rivelano del tutto infondate.